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implants - international magazine of oral implantology No.2, 2017

case report _ implantoprotesi Riabilitazione implanto-protesica su dente singolo con utilizzo di impianti autofi lettanti a connessione conometrica di ultima generazione: case report Autori_dr. Umberto Marchesi*, dr.ssa Greta Sala** & dr. Paolo Borelli***, Italia _Introduzione È ormai noto come la stabilità primaria di un impianto sia fondamentale per il successo di un trattamento implanto-protesico; numerosi studi hanno dimostrato come essa sia infl uenzata da una serie di fattori tra i quali la qualità ossea, la tecnica chirurgica e la morfologia microscopica e macroscopica dell’impianto utilizzato1,2. Per quanto riguarda la macromorfologia, si evince dalla letteratura che gli impianti autofi lettanti possono offrire una migliore stabilità primaria grazie alla presenza di spire con bordi taglienti3. Quando l’impianto raggiunge la sua profondità d’inserimento si stabilisce infatti un intimo con- tatto tra le porzioni esterne delle spire taglienti e l’osso mineralizzato della corticale, garantendo un’ottima stabilità primaria. Tale design implan- tare, inoltre, permette al clinico di evitare il pas- saggio della cosiddetta maschiatura o prefi let- tatura, che consiste nel preparare con un inserto dedicato una traccia che guiderà il passo del di- spositivo implantare durante il suo inserimento4. Inizialmente gli impianti autofi lettanti veni- vano utilizzati in presenza di osso di tipo 4, che secondo la classifi cazione di Lekholm e Zarb cor- risponde a un osso con componente midollare molto rappresentata rispetto alla corticale; oggi invece, grazie ai continui miglioramenti tecnici introdotti dalle case produttrici, è possibile uti- lizzarli in tutte le tipologie ossee. Un recente studio di Diaz-Sanchez R.M. e col- laboratori, infatti, ha riportato valori simili di ISQ (Implants Stability Quotient) in impianti autofi let- tanti inseriti nelle quattro diverse tipologie di osso seguendo un protocollo di sottopreparazione5. Un altro importante fattore da considerare per il successo del trattamento è il tipo di con- nessione implanto-protesica, che rappresenta un locus minoris resistentiae dal punto di vista meccanico e biologico. Numerosi studi hanno dimostrato l’eleva- ta affi dabilità e stabilità della connessione co- nometrica, nella quale si crea un tutt’uno tra abutment e fi xture grazie all’ampia superfi cie di contatto e alla frizione generata all’interfac- cia fra le due componenti (principio del cono Morse). Dalle più recenti evidenze sembra infatti emergere che con tale tipologia di connessione i problemi a carico dell’interfaccia tra moncone e impianto possono essere notevolmente ridotti6,7. Questa effi cace solidarizzazione sembra inoltre distribuire molto bene i carichi a tutto il sistema, evitando sollecitazioni eccessive nella zona vici- na alla connessione8. È anche noto come negli impianti con con- nessione avvitata esista un microgap di dimen- sioni variabili (40-100 micron) all’interfaccia tra moncone e impianto9. Questo spazio può essere invaso da batteri capaci di stabilirsi nella porzio- ne interna dell’impianto10. Laddove la connessio- ne risulti localizzata in prossimità della cresta al- veolare, la colonizzazione batterica del microgap può essere responsabile della genesi di processi infi ammatori a carico dei tessuti perimplantari, con conseguente perdita d’osso. Studi in vitro hanno dimostrato che la connessione conome- trica, riducendo sensibilmente le dimensioni del microgap (1-3 micron)11,12, impedisce il passaggio di fl uidi e la colonizzazione batterica dell’inter- faccia moncone-impianto, mantenendo così la salute dei tessuti molli perimplantari. L’assenza * Odontoiatra, libero professionista in Pavia ** Odontoiatra, libera professionista in Pavia *** Odontoiatra, libero professionista in Torino 2_2017 41

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