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Dental Tribune Italian Edition No. 9, 2016

<< pagina 1 Lo scopo dell’endodonzia chirur- gica, pertanto, è quello di ottenere detersione, sagomatura e ottura- zione tridimensionale della porzio- ne apicale del sistema dei canali ra- dicolari non trattabili attraverso la cavità d’accesso, ma raggiungibili solo attraverso un lembo chirurgi- co. Per questo motivo si preferisce utilizzare il termine “endodonzia chirurgica” anziché “chirurgia en- dodontica”, in quanto l’intervento deve essere programmato ed ese- guito come un intervento di endo- donzia fatto attraverso un accesso chirurgico, e non solo come un in- tervento di chirurgia fatto per mo- tivi endodontici. Una volta che è stata fatta la dia- gnosi di insuccesso endodontico, è necessario capire quali sono state le cause che hanno portato all’in- successo stesso, per valutare suc- cessivamente se esista la possibi- lità di correggere il fallimento con un ritrattamento ortogrado. Solo nel caso in cui questa possibilità non esista o, meglio, solo dopo che i tentativi di risolvere la terapia per via non chirurgica siano falliti, sia- mo autorizzati a intervenire per via chirurgica. L’endodonzia chirurgi- ca, in altre parole, non è il sostituto di un’endodonzia approssimativa e non deve essere una scappatoia per lasciare non “ritrattata” una terapia endodontica ortograda inadeguata. In accordo con quanto affermato da Nygaard-Ostby e Schilder8 , l’en- dodonzia chirurgica deve essere ri- servata a quei casi nei quali la pre- parazione e l’otturazione dei canali radicolari appaiono impossibili fin dall’inizio, o quando i tentativi di ritrattamento non chirurgico si- ano falliti. Anche in questi casi, tuttavia, gli autori raccomandano di riempire con le metodiche tra- dizionali la maggior parte possibile di canale prima di procedere all’in- tervento chirurgico. Al giorno d’oggi, le tecniche e gli strumenti per ritrattare clinica- mente gli insuccessi endodontici si sono affinati talmente tanto che i casi che sicuramente presentano l’indicazione alla chirurgia e che non possono essere ritrattati per via ortograda sono sempre più scarsi. Spesso un’elevata esperienza in endodonzia chirurgica nasconde l’incapacità da parte dell’operatore di eseguire una corretta detersio- ne, sagomatura e otturazione tridi- mensionale del sistema dei canali radicolari per via non chirurgica. Infine, anche dopo che è stata ac- certata l’indicazione alla chirurgia, in accordo con Weine e Gerstein17 , è consigliabile rimuovere il più pos- sibile la precedente otturazione ca- nalare inadeguata e sostituirla con guttaperca ben compattata: si pos- sono così riempire canali laterali, canali addizionali precedentemen- te dimenticati e talvolta l’interven- to chirurgico può rendersi non più necessario. Nei casi, tuttavia, in cui rimane l’indicazione alla chirurgia, è oggi possibile ottenere il successo della nostra terapia in una percentua- le di casi notevolmente maggiore rispetto a quello che si poteva ot- tenere fino a pochi anni fa, e que- sto grazie ai progressi tecnologici recentemente avvenuti nel campo dell’endodonzia chirurgica. Negli ultimi 10-15 anni due impor- tanti fenomeni hanno completa- mente rivoluzionato l’endodonzia chirurgica: la preparazione con gli ultrasuoni della cavità retrograda e l’utilizzo del microscopio operatorio. Gli ultrasuoni Per molti anni l’apice radicolare è stato preparato chirurgicamente scavando con una fresa una cavi- tà di prima classe all’interno della dentina, utilizzando un manipolo diritto a bassa velocità o il cosid- detto contrangolo “miniatura” con una piccola fresa rotonda o un cono rovescio. Questo tipo di approccio aveva molti svantaggi, ma soprat- tutto l’impossibilità di creare una preparazione in asse con il canale radicolare, e inoltre comportava l’impossibilità di detergere la su- perficie vestibolare della cavità retrograda. Nel tentativo di creare sufficiente ritenzione all’interno della cavità, era sempre presente il rischio di eseguire una perforazio- ne palatina o linguale e la procedu- ra era sempre più difficile a mano a mano che il canale radicolare era più lontano (linguale o palatino) e difficile da raggiungere da parte dell’operatore. Le frese più piccole erano sempre troppo grosse para- gonate al diametro dei canali radi- colari e quindi le grandi cavità re- trograde che risultavano erano più difficili da sigillare. Per lo stesso motivo, la cavità retrograda spesso non includeva le zone dell’istmo. L’introduzione della preparazione della cavità retrograda con gli ul- trasuoni ha reso possibile l’otteni- mento di quella che viene definita come la cavità retrograda ideale: una cavità di prima classe, pro- fonda almeno 3 mm all’interno della dentina, con pareti parallele e coincidente con il profilo anato- mico dello spazio endodontico1-3 . Allo scopo di ottenere ciò, sono sta- te sviluppate delle speciali punte da ultrasuoni che consentono al clini- co di raggiungere qualsiasi radice in qualsiasi situazione clinica. L’utiliz- zo delle apposite punte specificata- Micro-endodonzia chirurgica: lo stato dell’arte Arnaldo pagina 10 Fig. 1 - Radiografia pre-operatoria del primo molare superiore sinistro. I canali della radice mesio-vestiboloare non era stato possibile sagomarli ed otturarli più in profondità e per la presenza della lesione e dei sintomi lamentati dalla paziente, è stata programmata l’endodonzia chirurgica. Fig. 2 - Una volta eseguita l’incisione del lembo paramargina- le a tutto spessore, questo viene scollato sottominandolo. Fig. 3 - La punta da ultrasuoni si appresta a eseguire la cavità retrograda. Fig. 4 - La cavità retrograda viene ora otturata con MTA bianco portato con l’apposito carrier MAP System. Fig. 5 - La cavità retrograda compren- dente i due canali della radice mesiove- stibolare e l’istmo è stata otturata. 9Dental Tribune Italian Edition - Settembre 2016 Speciale Endodonzia

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