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Implant Tribune Italian Edition No.3, 2016

22 Implant Tribune Italian Edition - Settembre 2016 Speciale Regeneration SR Terapia non chirurgica, manuale e fotodinamica nella perimplantite avanzata: case report Pierluigi D’Este, Medico Chirurgo Odontoiatra, libero professionista presso Studio Dentistico Associato Dr. Munari - Dr. D’Este, Cassola (VI). Introduzione La perimplantite (PI) è definibile come una reazione infiammatoria che determina una progressiva e irre- versibile alterazione dei tessuti molli e duri perimplantari. Essa è caratte- rizzata clinicamente dalla formazio- ne di tasche, con sanguinamento e/o suppurazione al sondaggio e riassorbi- mentoosseoperimplantare,cheinrap- portoallalorogravitàèdefinibilecome ditipolieve,moderataoavanzata1 . La PI è normalmente preceduta da una condizione infiammatoria anco- ra reversibile a carico dei soli tessuti molli perimplantari, definita peri- mucosite, caratterizzata da un au- mento della profondità e sanguina- mento al sondaggio perimplantare3 . L’interesse del mondo odontoiatrico per la PI è cresciuto notevolmente negli ultimi anni: ciò è dovuto all’im- patto che questa complicanza può avere, sia in termini qualitativi che quantitativi, sull’elevato numero di impianti inseriti. Seppure in percen- tuali variabili, secondo i diversi studi, pare che la possibilità di incorrere in una complicanza perimplantare, sia superiore all’80% nel caso delle mu- cositi e tra il 28-56%2 , anche se tali percentuali sono state riviste più di recente3 e sembrano incidere al 10% come vera e propria perimplantite, neiprimidieciannidall’inserimento. Certamente una più chiara enuncia- zione dei criteri diagnostici, attual- mente molto incerta, potrà definire con più precisione la portata del feno- meno,checomunqueèconcretamen- te presente nella realtà clinica quoti- diana (un vero e proprio “tsunami” implantare, secondo alcuni autori). Nonostante la corposa letteratura scientifica prodotta, ancora poco chiaro è il preciso inquadramento della PI: la vera natura della malattia, la sua incidenza e la terapia risultano tutt’altro che ben definite. In un recente consensus meeting4 è stato ribadito come il termine “pe- rimplantite” sia quanto mai poco chiaro nel definire un’univoca “ma- lattia”, eziologia e patogenesi; che la perdita di tessuto osseo marginale (MBL) può essere causata da una numerosa serie di fattori correlabili all’impianto, al paziente, al proto- collo di trattamento, al sovraccarico protesico, alla qualità del manteni- mento; che il quadro clinico derivato dalla MBL che avviene di solito nel primo anno, sia correlabile più a una risposta osteolitica immuno-mediata dell’ospite; infine, che solo il moni- toraggio radiografico negli anni di follow-up possa fornire i parametri di progressività per definire lo status di “malattia” perimplantare. Tratuttiifattoriresponsabilidelcam- biamento prognostico sulla sopravvi- venza di un impianto, il più chiaro rimane la contaminazione batterica della superficie implantare. Da qui ne deriva che il controllo del biofilm e della carica batterica costituisce un punto focale nella prevenzione e nel trattamento della PI6 . In un’interessante review5 si è cerca- to, di identificare il trattamento “rac- comandabile” per la terapia della PI. Nella loro discussione gli autori han- no ribadito che, pur attraverso pro- tocolli terapeutici quanto mai diver- si, le evidenze sembrano indicare la necessità di ricorrere alla terapia non chirurgica, o alla terapia resettiva con implanto-plastica o alle terapie rigenerative in funzione di una scala di gravità che va dalla peri-mucosite fino alla perimplantite avanzata. Come scritto da Smeets et al.7 attual- mente la «terapia ideale della perim- plantite» deve essere intesa come la somma di approcci diversi specifici per il singolo caso. Nella pratica clinica quotidiana, inol- tre, la scelta terapeutica, già di per sé non univoca, è fortemente condizio- nata anche dalle richieste economi- che, funzionali ed estetiche del pa- ziente: di frequente allora ci si trova a dover soddisfare la richiesta da parte delpazientediagireconilminordisa- gio possibile, anche di fronte a situa- zioni che prevedrebbero interventi risolutivi estremi come la rimozione dell’impianto ammalato. In questi casi, i trattamenti non chi- rurgici possono essere di grande aiu- to. Essi si possono schematicamente riassumere in trattamenti meccanici, farmacologici (sistemici e/o locali) e fisici (laser terapia e la terapia foto- dinamica). Questi trattamenti pos- sono essere combinati tra di loro per poter raggiungere il “goal” finale che secondo Heitz-Mayfield et al.8 dovrebbe essere la risoluzione della malattia (assenza di suppurazione, sanguinamento al sondaggio, perdita ulteriore di osso) e la stabilizzazione e il mantenimento dei tessuti molli e duri perimplantari, ma in subordine, la riduzione dei segni dell’infiamma- zione clinica (riduzione sondaggio e sanguinamento) come esito del con- trollo del biofilm. Tra tutti, il mechanical-debridement della superficie implantare, eseguito con strumenti manuali o ultrasonici, rappresenta il caposaldo primario. La sua efficacia, però, può essere ridotta dall’impossibilità di raggiungere age- volmente tutta la superficie implan- tare e le zone più profonde del difet- to; da qui la necessità di integrare il debridement con trattamenti diversi, come l’uso di farmaci, locali e/o siste- mici, a loro volta condizionati da un rapporto dose-tempo insufficiente a permeare il biofilm batterico. È per questo che negli ultimi anni sono stati proposti trattamenti alter- nativi, tra tutti la laser terapia ad alta energia e la terapia fotodinamica. La terapia fotodinamica si avvale di una luce laser a bassa potenza (580-1400 nm) in grado di attivare una sostanza colorata fotosensibile, che in un tempo limitato è in grado di permeare il biofilm e legarsi alla membrana cellulare batterica. Quan- do colpita dalla luce laser la sostanza fotosensibile libera molecole di ossi- geno singoletto che vanno a danneg- giare irreversibilmente la membrana batterica. Esiste una cospicua lettera- tura sia in vitro che in vivo sull’effica- cia antimicrobica della terapia foto- dinamica. Volendo riassumere, i dati acquisiti negli ultimi anni attraverso studi mirati depongono a favore di un utilizzo della terapia fotodinami- cacomecomplementoaltrattamento di parodontiti e perimplantiti, dove sembra possa incidere favorevolmen- te, rispetto alle terapie tradizionali, a migliorare parametri come indice di placca, profondità di sondaggio e san- guinamento al sondaggio9 . Nelcasoquipresentato,asupportodel mechanical-debridement è stato uti- lizzato il sistema HELBO (bredent me- dical), che si basa sull’utilizzo di una soluzione di cloruro di fenotiazina in confezioni sterili monouso e di una fontedilucelaseradiodi660nm,por- tata nella sede d’applicazione con un agile manipolo e dei puntali, anch’essi in confezioni monouso sterili. Il sistema presenta il vantaggio di es- sere particolarmente versatile soprat- tutto nella dotazione di puntali flessi- bili e di diversa lunghezza e spessore: essi permettono di raggiungere an- che le porzioni più apicali delle tasche perimplantari, superando eventuali ostacoli meccanici. Non ultimo, il sistema richiede una curva di apprendimento veramente minima, con costi relativamente con- tenuti per il paziente. Caso clinico La paziente di anni 36, riferita da un collega, si presenta all’osservazione nell’ottobre 2014 lamentando dolore e gonfiore a carico dell’elemento #11, riabilitato otto anni prima con im- plantoprotesi avvitata, per sostituire l’elemento naturale già trattato quin- dici anni prima con perno moncone e corona, in seguito a una frattura corono-radicolare a becco di flauto di origine traumatica. La paziente, non fumatrice, gode di buona salute gene- rale e non presenta segni di malattia parodontale in atto o pregressa. La sintomatologia era già occorsa oc- casionalmente negli anni precedenti, ederastatatrattataconcicliditerapia antibiotica sistemica (amoxacillina per os). Negli ultimi due anni, però, tali episodi erano diventati sempre più frequenti, ripresentandosi negli ultimi sei mesi a una cadenza quasi quindicinale, cosa che costringeva la paziente a ricorrere in modo presso- ché continuativo all’uso di antibiotici sistemici. Al controllo clinico (Fig. 1) l’area ap- pariva edematosa, non più essudante stante la terapia antibiotica iniziata già da qualche giorno, con sangui- namento al sondaggio e importanti sondaggi lungo tutta la circonferenza implantare (Tab. 1). > > pagina 23 Fig. 5 Fig. 1 Fig. 6 Fig. 2 Fig. 7 Fig. 3 Fig. 8 Fig. 4

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