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Dental Tribune Italian Edition

9Dental Tribune Italian Edition - Febbraio 2016 Teknoscienza << pagina 1 L’attività dell’Unità di Odontoiatria trova infatti spazio sulle principali riviste scientifiche del settore con nu- merose pubblicazioni. Un ruolo da protagonista guadagnato grazie alla dedizione di professionisti di altissimo livello e linee di ricerca attuali e in- novative. Nella sua relazione, ha affermato che le attuali classificazioni dell’atrofia ossea non bastano a valutare correttamente il successo degli incrementi di volumi ossei. Può spiegarci perché? Gli attuali sistemi di classificazio- ne presentano delle limitazioni prognostiche perché si basano solo sull’analisi del profilo della cresta residua, senza considera- re il difetto osseo nella sua unità anatomico-biologica, cosa che consentirebbe di valutarne in modo più razionale il potenzia- le rigenerativo e di stimare con maggiore attendibilità il successo dell’atto chirurgico. Oltre al profilo crestale, ci sono infatti altri fattori che impattano su tempi e qualità della rigenerazione: il numero di pareti ossee circostanti il difetto; la sua collocazione rispetto al profilo crestale; l’estensione e la direzione dell’incremento desiderato; il gra- do di corticalizzazione del sito rice- vente e la quantità e qualità della componente trabecolare presente. È quindi importante integrare i sistemi di classificazione esistenti con l’analisi delle caratteristiche del sito più rilevanti in termini bio- logici. Che cos’altro dovrebbe tenere a mente il clinico nelle sue valutazioni? Il messaggio chiave è considerare il sito ricevente nel suo ruolo attivo all’inter- no del processo di rigenerazione, te- nendo sempre a mente caratteristiche e funzionamento delle componenti cellulari coinvolte e la cascata di even- ti che lo determinano. In quest’ottica è essenziale che il chirurgo conosca anche composizione e struttura dei materiali da innesto e come queste in- fluenzano l’interazione con l’intorno biologico in cui sono inseriti. Dunque il “qualunque cosa metti è sempre uguale” è sbagliato dal punto di vista dell’evidenza scientifica. Perché? L’idea che ho maturato in proposito deriva da alcuni studi condotti e pub- blicati in collaborazione con il profes- sor Piattelli dell’Università di Chieti. In questi lavori sono state indagate in particolareleproprietàdiinnestietero- loghiche,grazieauntrattamentodiri- mozione degli antigeni enzimatico an- ziché termico, contengono collagene in forma nativa. Studi indipendenti in vitro su biomateriali diversi hanno evi- denziato un comportamento differen- ziale degli osteoclasti in funzione della tipologia di innesto. In particolare, si è osservatochel’attivitàdegradativade- gli osteoclasti coltivati su biomateriale a collagene preservato è maggiore di quella riscontrata coltivandoli su osso trattato termicamente. Questo sugge- risce che il mantenimento del collage- ne e la sua integrità costituiscano una condizione favorente l’adesione delle cellule e la loro attività ed è verosimil- mente il motivo per cui, con innesti dif- ferenti, si ottengono quadri istologici e istomorfometrici molto diversi. Perché l’odontoiatra dovrebbe tenere conto di questi fattori? Quali sono, se esistono, le ricadute nella pratica clinica? Le ricerche svolte in collaborazione con il professor Gherlone e il professor Piat- tellihannoevidenziatocheleproprietà del materiale innestato determinano sia la qualità istologica del tessuto ri- generato sia i tempi di rigenerazione. Questo è quanto osservato a livello clinico negli ultimi due lavori pubbli- cati recentemente sul JOMI assieme ai professori Vinci e Capparé, condotti su pazienti sottoposti a rialzo del seno e follow-up di tre anni. Nel primo, uno studio clinico rando- mizzato, i pazienti sono stati riabili- tati alternativamente con materiale equino collagenato o materiale bovino trattato termicamente, e dunque privo di collagene. A sei mesi dall’innesto, l’a- nalisi istomorfometrica rivelava una quantità significativamente maggio- re di tessuto osseo di neo formazione nei pazienti trattati con il materiale a collagene preservato; simmetricamen- te, la quantità di innesto residuo era inferiore. In un secondo lavoro, sono stati analizzati retrospettivamente i dati istomorfometrici di biopsie pre- levate da pazienti sottoposti a rialzo di seno con materiale equino collagenato e posizionamento implantare a tempi diversi:datreadodi- ci mesi dalla chirur- gia rigenerativa. La quantità di tessuto osseo formatosi ai tempi più precoci (3-5 mesi) era com- parabile a quella osservata tardiva- mente e la soprav- vivenza a tre anni non dissimile da quella osservata con un posizionamento più tardivo. Il dato suggerisce che l’osso equino a collagene preservato venga riassorbito e sosti- tuito con osso di neo formazione in tempi brevi e che lo specialista possa an- ticipare il posiziona- mento implantare, con chiare ricadute positive sul benesse- re psicofisico del pa- ziente. Nell’ambito di questo specifico contesto clinico, l’u- so di un materiale con una cinetica di riassorbimento e sostituzione relativamente rapida è quindi più funzionale ai fini della ria- bilitazione implanto-protesica. Vuole dire che a seconda della finalità della chirurgia è preferibile usare un diverso tipo di sostituto osseo? È esattamente così. Esistono infatti condizioni di intervento nelle quali l’esigenza del chirurgo è opposta. È il caso degli aumenti di volume volti a ripristinare e mantenere nel tempo il profilo crestale in assenza di impianti, qualora siano presenti vuoti disarmo- nici in protesi implantari tipo toronto o overdenture, o ancora quando l’osso presente garantirebbe un’adeguata osteointegrazione degli impianti ma, per motivi estetici, serve mantenere un diverso profilo crestale. In contesti di questo tipo la scelta preferenziale è un biomateriale a lunga permanenza. L’osso eterologo calcinato è un’opzione idonea in tal senso, perché il tratta- mento ad alte temperature, rimuoven- do il collagene, rende il materiale più inerte e meno riassorbibile. Analoghe considerazioni dovrebbero guidare anche la scelta della membra- Sostituti ossei e prevedibilità clinica: dalla ricerca al successo chirurgico www.dtstudyclub.it Diagnosi in conservativa, un gioco di ombre… Dott. Giuseppe Chiodera WEBINAR REGISTRATO HOME EVENTSCORSI ONLINE Odontoiatria generale SPONSORIZZATO DA La ricerca in odontoiatria, lo sviluppo di nuovi materiali e tecnologie sono orientati alla prevenzione e alla cura precoce delle patologie dentali, in questo contesto trova sempre più spazio il concetto di odontoiatria minimamente invasiva. Questa filosofia prevede una attenta valutazione rischi benefici biologici nella fase diagnostica. La diagnosi quindi deve sempre partire dalla base di una corretta indagine clinica e radiologica, sarà però utile integrare questa indagine con strumenti che consentano di visualizzare lesioni che non sarebbero clinicamente riscontrabili con i mezzi tradizionali. na. Se infatti le membrane in collagene trovano idonea applicazione nella co- pertura di piccoli difetti perimplantari, quelle in pericardio, a riassorbimento più lento, sono più indicate per la ri- generazione ossea guidata, mentre le membrane di osso corticale, le più resistenti in termini sia meccanici sia di degradazione, si prestano bene alla gestione di alcune complicanze del rialzo di seno mascellare (lacerazio- ni della membrana sinusale) e delle estrazioni dentali (rottura delle pareti vestibolari). Anche il formato del mate- riale innestato è un criterio di scelta ri- levante per il chirurgo. In questo senso i sostituti ossei a collagene preservato presentano una più ampia gamma di forme e dimensioni, che comprendono i classici granuli ma anche lamine fles- sibili e blocchi rigidi. Alla base del successo clinico c’è dunque la capacità del clinico e la qualità del suo giudizio diagnostico. Naturalmente, ma questa oggi non si limita alla sola competenza e abilità tecnica. La pluralità delle opzioni tera- peutiche esistenti comporta un lavoro continuo di aggiornamento sulle tipo- logie di biomateriali disponibili, e una profonda conoscenza di potenzialità e limiti dei diversi approcci chirurgici. È quindi essenziale maturare la capaci- tà di eseguire un’analisi razionale, che guidi lo specialista nella scelta della tecnica e del materiale più corretti in funzione della tipologia di tessuto os- seo che si desidera ottenere, del tempo incuilosivuoleotteneree,soprattutto, del fine ultimo dell’atto clinico. Quali sono le sue conclusioni? Per massimizzare le probabilità di suc- cesso di un intervento di aumento dei volumi ossei è necessario valutare cor- rettamente tre elementi chiave: il po- tenziale rigenerativo del sito ricevente, le caratteristiche e proprietà dei ma- teriali da innesto e i limiti applicativi della tecnica chirurgica. L’idea che sot- tende queste considerazioni è quella di operare scelte che tengano sempre a mente processi e attori della rigenera- zione ossea, perché agire in condizioni biologicamente favorevoli significa co- struire delle solide basi per il successo clinico dell’intervento. Uno sguardo agli sviluppi futuri: può darci qualche anticipazione sugli hot topic dei prossimi studi? In continuità con quanto fatto fi- nora, approfondiremo le potenzia- lità applicative delle membrane ossee corticali e dei blocchi d’osso spongiosi equini, ottimizzandone l’utilizzo nelle ricostruzioni a onlay anche per interventi maxillo-fac- ciali maggiori. Un secondo filone di ricerca clinica sarà dedicato allo studio di un approccio razionale ed efficace per la preservazione dell’alveolo post-estrattivo. Ci oc- cuperemo infine di valutare le po- tenzialità cliniche di alcune paste d’osso di nuova generazione, di in- teresse anche in ambito ortopedico e neurochirurgico. Grazie per l’intervista. Patrizia Gatto

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