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Dental Tribune Italian Edition No. 6, 2016

14 Dental Tribune Italian Edition - Giugno 2016 Gestione dello Studio Super ammortamento: finalmente un’agevolazione anche per i professionisti Ecco un’agevolazione che può comportare la variazione del programma degli investimenti del professionista. La legge 208/2015 (Finanziaria 2016) ha concesso la possibilità, per i sog- getti titolari d’impresa e per gli esercenti arti e professioni, di maggiorare del 40% il costo di acquisizione degli investimenti effettuati, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria. L’agevolazione ha natura temporanea, in quanto riguarda gli investimenti effettuati nel periodo dal 15/10/2015 al 31/12/2016. La prima novità di rilievo è che, finalmente, anche i professio- nisti possono usufruire di un’agevolazione. Possono beneficiare dell’agevolazione anche i professionisti che applicano il regime dei contribuenti minimi e i soggetti di nuova costituzione. Sono esclusi unicamente i soggetti che si avvalgono del regime forfe- tario non determinando il reddito in modo analitico, ma appli- cando il coefficiente di redditività sui compensi percepiti. Possono usufruire dell’agevolazione, gli investimenti effettuati in beni: – materiali; – strumentali; – nuovi; – acquistati o in leasing finanziario. Di conseguenza sono esclusi gli investimenti in beni immate- riali (ad esempio, software) e i beni usati. Per espressa previsione normativa sono inoltre esclusi i beni materiali strumentali per i quali è previsto un coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5% e gli acquisti di fabbricati. L’agevolazione consiste nella maggiorazione delle quote di ammortamento e dei canoni lea- sing di un importo pari al 40%, arrivando così a dedurre al ter- mine del periodo il 140% del prezzo di acquisto. Per i beni strumentali di costo unitario inferiore a 516,46 euro la maggiorazione del 40% può essere dedotta integralmente nell’anno di acquisto. Ipotizzando l’acquisto di un bene per euro 500,00, la deduzione fiscale complessiva nell’anno sarà quindi pari a 700,00 euro. Nel caso siano rispettati i predetti requisiti la maggiorazione spetta anche per l’acquisizione delle autovettu- re. Vengono anche maggiorati del 40% i limiti rilevanti per la de- duzione delle quote di ammortamento e dei canoni leasing rela- tivi alle autovetture. Il limite del costo fiscale di euro 18.075,99 viene pertanto incrementato a euro 25.306,39. La percentuale di deducibilità delle quote di ammortamento e dei canoni leasing resta, tuttavia, invariata al 20%. La maggiorazione del 40% è, inoltre, ininfluente nel calcolo delle plusvalenze/minusvalenze nel caso di cessione dei beni strumentali acquisiti. Le plusva- lenze/minusvalenze saranno determinate come differenza tra corrispettivo incassato e costo non ammor- tizzato, quest’ultimo determinato senza tenere conto della maggiorazione del 40% derivante dai super ammortamenti. Come precedentemente evidenziato l’agevolazione riguarda solo l’imposta sul reddito e non produce effetti sull’IRAP ed è, inoltre, irrilevante ai fini de- gli studi di settore, ovvero la maggiorazione dedotta non produ- ce effetti nella determinazione del ricavo puntuale desumibile dall’elaborazione degli studi di settore. In conclusione il professionista che ha in programma l’effet- tuazione, anche in un prossimo futuro, di investimenti deve valutare l’eventuale anticipazione degli stessi, essendo la norma agevolativa dei super ammortamenti temporanea ed essendo comunque estremamente favorevole al professionista, in quan- to permette la deducibilità fiscale di un rilevante costo non ef- fettivamente sostenuto. Dott. Maurizio Tonini, Commercialista in Torino Cosa succede se si modificano le mansioni di un lavoratore? Ad esempio, l’assistente alla poltrona Aspetto particolarmente innovato dalla recente riforma del lavoro, il Jobs Act, riguarda la possibilità per il datore di lavoro (il dentista, ad esempio) di modificare unilateral- mente le mansioni del proprio di- pendente (l’assistente alla poltrona, per stare nell’esempio). Si tratta del cosiddetto ius variandi. La disciplina del mutamento di mansioni è previ- sta all’art. 2103 del codice civile, il quale è stato profondamente modi- ficato con inevitabile ripercussione nei rapporti fra datore di lavoro e lavoratori. Fino ad oggi l’articolo consentiva al datore di lavoro di adibire il la- voratore a mansioni superiori per un massimo di 3 mesi, pena la sta- bilizzazione del corrispondente li- vello superiore (cosiddetta mobilità verticale), oppure a mansioni equi- valenti alle ultime svolte, con pari retribuzione (cosiddetta mobilità orizzontale). Quel che non poteva fare il datore di lavoro era adibire il proprio dipendente a mansioni in- feriori (salvo esigenze straordinarie e per un tempo limitato). Ove quindi l’imprenditore, in ragio- ne di particolari esigenze aziendali o per motivi di contrazione econo- mica e/o riorganizzazione, avesse deciso di mutare le mansioni di uno o più dipendenti avrebbe potuto (prima della riforma) unicamente valutare l’equivalenza delle “nuo- ve” mansioni affidate, attraverso un giudizio comparativo. La giuri- sprudenza aveva chiarito che per “equivalenza” occorreva riferirsi al “patrimonio professionale” del lavoratore, ragion per cui le nuove mansioni dovevano avere un “valo- re professionale” comparabile con quelle precedenti. Il datore di lavoro ben poteva assegnarlo a mansioni equivalenti, purché i tipi di mansio- ne – per provenienza e destinazione – appartenessero al medesimo li- vello d’inquadramento previsto nel CCNL con la conservazione se non accrescimento del bagaglio espe- rienziale acquisito dal lavoratore (Cass. Civ., Lav., n. 24293/2008). Molto facile dunque per il datore di lavoro incappare in contenziosi giu- diziali non appena tentava di “spo- stare” il dipendente, soprattutto se la modifica unilaterale imposta non teneva in debito conto la metodo- logia comparativa su citata. Sem- pre attivati dai lavoratori che per- cepivano “lo spostamento” come un ingiusto demansionamento, i contenziosi imponevano al Giudice un’indagine precisa circa le man- sioni previste nell’atto di assunzio- ne rispetto a quelle concretamente svolte, nonché un loro successivo inquadramento con riferimento al corrispondente livello del CCNL d’appartenenza. L’intervento del Jobs Act ha modifi- cato i tre ambiti principali dello ius variandi al punto che oggi l’equi- valenza delle mansioni non deve più tener conto dei compiti effet- tivamente svolti dal lavoratore o del livello professionale da questi raggiunto cancellando così il di- vieto d’assegnazione a mansioni inferiori. Oggi verrebbe permessa l’assegna- zione a mansioni riconducibili tan- to allo stesso livello quanto a quello immediatamente inferiore, con ob- bligo ovviamente a tenere invariata la categoria d’inquadramento (ope- raio, impiegato, quadro). Non vi è più l’obbligo quindi di do- ver accertare se le nuove mansioni siano aderenti – o meno – alla spe- cifica competenza acquisita dal di- pendente. Ovviamente il datore di lavoro potrà procedere al “deman- sionamento consentito” solo qualo- ra intervenga una modifica (reale) degli assetti organizzativi aziendali, tale da pesare sulla posizione del la- voratore oppure in una delle ipotesi previste dai contratti collettivi. Per tale motivo dunque, seppur in assenza di una previsione esplicita, pare opportuna – da parte del dato- re di lavoro – una motivazione pre- cisa e dettagliata del provvedimen- to modificativo, con indicazione delle ragioni organizzative sottese alla decisione. Al di fuori dei limiti imposti dalla legge si ricadrà anco- ra in ipotesi di demansionamento illegittimo con obbligo del datore di lavoro di versare la differenza di retribuzione e contributi conteggia- ti dal momento in cui il dipendente è stato adibito illegittimamente a mansioni inferiori. A prescindere dalle regole citate cir- ca il demansionamento consentito, la nuova legge riconosce comunque la possibilità alle parti di stipulare accordi individuali (il lavoratore sempre assistito dal sindacato o da un avvocato) di modifica delle man- sioni, della categoria legale o del livello di inquadramento se non ad- dirittura della retribuzione (comma 6 nuovo testo art. 2103 c.c.). Altra novità portata dal Jobs Act riguarda il riordino delle forme di lavoro a orario modulato e flessibi- le, in particolare il cosiddetto part- time. Questa tipologia contrat- tuale può venire incontro anche alle esigenze dei datori di lavoro che, per natura della loro attività o per una particolare contingenza economica, si trovano temporane- amente ad avere flessioni lavorati- ve, con la necessità quindi di poter utilizzare il personale in maniera più elastica. Il lavoro a tempo par- ziale, come noto, è caratterizzato da un orario inferiore rispetto a quello del tempo pieno. Prima della recente riforma esisteva la classica tripartizione, ovvero: 1. part-time orizzontale (in cui si lavora tutti i giorni della settimana, ma in ciascun giorno per un minor numero di ore); 2. part-time verticale (in cui si lavo- ra a tempo pieno ma solo in alcuni giorni della settimana e/o solo in alcune settimane al mese e/o solo in alcuni mesi all’anno); 3. part-time misto che permette(va) una modulazione del lavoro a se- conda delle vere esigenze aziendali. Oggi, più che altro nominalmente, tale tripartizione appare superata, in ragione di una esigenza di sem- plificazione, dando così la possibili- tà alle parti di stabilire contrattual- mente durata, orario e collocazione temporale della prestazione lavora- tiva a tempo parziale. Ovviamente tale libertà dovrà tenere in debito conto tanto le esigenze aziendali, quanto quelle del lavoratore. Se ad esempio un lavoratore part-time risulta impiegato per 20 ore setti- manali, il datore potrebbe scegliere di impiegare il lavoratore, in funzio- ne delle proprie esigenze, per 4 ore giornaliere oppure, diversamente, una volta individuato il monte ore annuale necessario all’azienda, po- trebbe l’imprenditore modulare la prestazione utilizzando il lavorato- re per un tempo pieno (40 ore) nei periodi di estrema necessità, per poi ridurre l’orario nei periodi di fles- sione lavorativa. Come si diceva l’originale triparti- zione sembrerebbe eliminata “solo a parole”, nel senso che nei fatti le par- ti, proprio in funzione della libertà che la nuova norma conferisce, po- trebbero stabilire forme orizzontali, verticali o miste di esecuzione della prestazione lavorativa. Obiettivo del legislatore sicuramente era di dare da un lato gli strumenti al da- tore di limitare i costi nei periodi di flessione, mantenendo un rappor- to continuativo con il dipendente, dall’altro incentivare il lavoratore, il quale potrebbe contare su una con- tinuità lavorativa sapendo di essere coperto da una forma contrattuale stabile e duratura. Adriano Colomban, Studio legale Stefanelli & Stefanelli

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