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Implant Tribune Italian Edition

4 Implant Tribune Italian Edition - Novembre 2015Speciale EAO Sentenza della Cassazione sulla responsabilità unica in sala operatoria SecondounacontroversasentenzadellaCortediCassazione,ilcapo diun’équipechirurgicaèresponsabiledellesceltedeglialtrispecia- listiehaildoverediintervenirequaloraleritenganoncondivisibili in base al suo bagaglio di conoscenze e dannose per il paziente. Nel caso in questione, la Cassazione ha rigettato la tesi di un prima- rio chirurgo per cui «la diversità delle conoscenze specialistiche» circoscriverebbe «l’ambito delle responsabilità delle competenze scientifiche dei singoli». La Suprema Corte, attraverso una controversa sentenza, ha confer- matolacondannaperomicidiocolposoacaricodiunchirurgo,pri- marioall’ospedalediViboValentia,ritenutocolpevoledinonesser- si avvalso «dell’autorità connessa al ruolo istituzionale affidatogli» e di non aver bloccato la scelta dell’anestesista, il quale tentò due volte, senza esito, di dar corso ad anestesia generale con sommini- strazionedicuraroeintubazionesuunaragazzinaperreciderleun ascesso alla gola. «L’effetto miorilassante del curaro determinò la paralisi dei muscoli respiratori con conseguente totale occlusione delle vie respiratorie» ricorda la sentenza della Cassazione. «So- praggiunge anossia con desaturazione. In tale drammatica contin- genza il dott. tentò l’esecuzione di tracheotomia in emergenza, ma senza esito. Il bisturi incise pure l’esofago e lese alcuni vasi. Soprav- venne l’esito letale per arresto cardiocircolatorio seguito ad asfissia indotta farmacologicamente». Una sentenza che per certi versi ha dell’incredibile, non per il fat- to in sé ma poiché accomuna l’operato del chirurgo con quello del anestesista, che svolgono il loro lavoro su due ambiti che in sala hanno la necessità di rimanere distinti. Con la sentenza 33329 la Cassazione ritiene che il chirurgo «censurabilmente, non si disso- ciò e non si oppose all’operato degli anestesisti. Egli, responsabile dell’intervento, si sarebbe dovuto rifiutare di compiere un atto chirurgico non quoad vitam in condizioni che sapeva essere alta- mente rischiose per la paziente. Il sanitario, a fronte delle iniziative anestesiologiche palesemente errate, non avrebbe dovuto tenere un atteggiamento acquiescente, avrebbe dovuto rifiutare di ese- guire l’atto operatorio in quelle condizioni e avrebbe semmai do- vuto dar corso a tracheotomia in anestesia locale, estromettendo gli anestesisti». «Proprio alla luce degli accesi con- trasti insorti in sala operatoria circa le modalità dell’esecuzione dell’anestesia, il capo équipe era ben consapevole della alta peri- colosità dell’intubazione a rapida sequenza» continua la sentenza. «D’altra parte si era in ambito in- terdisciplinare, l’errore era ben riconoscibile e dunque non poteva farsi affidamento sul comportamento degli anestesisti. L’alternati- vacondottaomessaavrebbesalvatolavitadellapazienteedunque i due indicati profili di colpa fondano la responsabilità. Il primario, inoltre, sin dal momento del ricovero, avrebbe dovuto disporre approfondimento strumentale con l’esecuzione di una TAC che avrebbe permesso di valutare la caratterizzazione e la localizzazio- nedell’ascesso.Ciòavrebbeimpeditodigiungereinsalaoperatoria al buio. Si sarebbe avuta una visione chiara dell’allocazione e delle dimensionidell’ascessoecisisarebbeplausibilmenteorientativer- so più tempestive e diverse forme di intervento. Una sentenza, quella della Cassazione sulla responsabilità uni- ca del capo équipe chirurgo in sala operatoria, che per certi versi può essere considerata sorprendente. Per Riccardo Masetti, diret- tore della chirurgia senologica del Policlinico Agostino Gemelli di Roma e presidente della Komen Italia, attribuire il cento per cento delle responsabilità in sala operatoria al medico che opera non tro- va ragione nell’organizzazione del complesso lavoro che si realizza durante un intervento. «Il capo équipe è responsabile dell’équipe chirurgica», spiega il medico che opera da 30 anni, «esiste però an- che un capo équipe dell’anestesia. Francamente sembra contro la realtà che un chirurgo possa riuscire a controllare e quindi essere responsabile anche di quello che un anestesista fa». L’AIBC, Associazione di Bioetica in Chirurgia, tramite il suo presi- dente Daniele Maggiore, risponde a sua volta alla decisione della Su- prema Corte: «La decisione della Cassazione è chiaramente errata, e tale decisione è dovuta princi- palmente a un vuoto legislativo inmerito.Insalaoperatoriaognu- no è responsabile delle proprie azioni, a partire dall’operatore e finendo al tecnico di sala; e ognuno deve agire secondo la propria specialità e competenza». La sentenza della Cassazione si premu- ra di sottolineare che la responsabilità non può essere considerata «senza limiti». Può succedere, infatti, «che sia in questione un sa- pere altamente specialistico che giustifica la preminenza del ruolo decisorio e della responsabilità della figura che è portatrice delle maggiori competenze specialistiche». Per esemplificare, infatti, la Cassazione rileva che «l’anestesista rianimatore è portatore di conoscenze specialistiche e assume la connessa responsabilità in relazione alle fasi di qualche qualificata complessità nell’ambito dell’atto operatorio». Invece, «diverso discorso va fatto per ciò che attiene a scelte e determinazioni che rientrano nel comune sapere di un accorto terapeuta; nonché per quanto riguarda ambiti disci- plinari nei quali è coinvolta la concorrente competenza di diverse figure. In tali situazioni – affermano i supremi giudici – riemerge il ruolo di guida e responsabilità del capo équipe e si vuole dire che quando l’errore è riconoscibile perché banale o perché coinvolge la sfera di conoscenza del capo équipe, questi non può esimersi dal dirigere la comune azione e imporre la soluzione più appropriata, al fine di sottrarre l’atto terapeutico al già paventato anarchismo». Surgical Tribune Italia Dott. Brånemark, la prego di dare una descrizione dello sviluppo di protesi osteointegrate? Il lavoro iniziato da mio padre era il fondamento di ciò che facciamo in ortopedia oggi. Usando il suo concetto, ho sviluppato nuove cure per amputati basate su impianti osteointegrati, che ho pratica- to per circa 25-30 anni. Dal 1998, ho lavorato per lo più con le mie aziende, ovvero la Brånemark Integration, l’azienda dentale che ho avviato con mio padre, e la Integrum, che fa tutto lo sviluppo per l’osteointegrazione ortopedica. Tuttavia, ora abbiamo anche collaborazioni in più Paesi con le università di Gothenburg, Vienna, San Francisco e Chicago, e si spera anche Gottingen nel prossimo futuro. Poiché il sistema di impianto svedese per il trattamento di amputati è stato di recente appro- vatodallaUSFoodandDrugAdministration(FDA), sto istituendo un centro di osteointegrazione or- topedica a San Francisco e sto lavorando a stretto contatto con il Dipartimento della difesa statuni- tense, che purtroppo ha molti soldati con ampu- tazioni, ed è quindi molto interessato a sostenere il nostro lavoro. Quali si considerano le sfide principali di questo trattamento? L’ancoraggio all’osso è il nucleo della tecnologia di osteointegrazione e che sia una tecnologia abba- stanza robusta lo abbiamo dimostrato in milioni diimpiantidentali.Tuttavia,inortopedia,citrovia- moadaffrontareulteriorisfide.Peresempio,nonci sonomaterialioggidisponibilichesianoabbastan- zafortidasopportare20-50annidielevataattività fisica.Pertanto,abbiamosviluppatoecontinuiamo a sviluppare nuovi materiali e superfici in grado di sopportare meglio i carichi più elevati. Unaltroimportantepuntomoltodelicatoèlazona delle mucose e la penetrazione della pelle, che è for- se ancora più impegnativa. Stiamo lavorando a un concetto molto simile al vecchio protocollo Bråne- mark e all’apparecchio acustico osso-ancorato, in quanto abbiamo una superficie liscia che non è un ancoraggio.Cisonomoltigruppidilavorocollegati e, per quanto ne so, tutti hanno fallito, soprattutto in campo ortopedico. Tuttavia, proprio come con ogni intervento chirurgico, il risultato dipende in larga misura anche dalle competenze del chirurgo. Negli ultimi sei anni, è stata utilizzata osteointegrazione con elettrodi impiantati. Può dirci qualcosa di più su questo programma? Sì, stiamo anche sviluppando la prossima genera- zione di protesi di amputazione. Oltre all’impianto osteointegrato, siamo in grado di collegare gli elet- trodi ai muscoli e nervi per avere una protesi con- trollatadalcervello,checiaiutaadirigereildisposi- tivo protesico in un modo molto migliore e fornisce un feedback. Questo è estremamente importante per il ripristino della funzione. Il vantaggio principale del nostro approccio rispet- to ai nostri concorrenti è che devono utilizzare la tecnologia wireless, perché non hanno i mezzi per portarecavidalcorpoacausadelrischiodiinfezio- ne. Tuttavia, abbiamo questo fantastico impianto osteointegrato da utilizzare come un condotto in modo che i fili possono passare attraverso il sistema implanta- re. Simile a una connessione Internet in fibra ottica, la connessione cablata in un braccio robotico è migliore, stabile e robusta. Abbiamo già trattato con successo un paziente. Tuttavia, la no- stra ricerca è ancora in fase iniziale, ma penso che potremmo fare cose incredibili in futuro. Pensa che le protesi osteointegrate potrebbero potenzialmente sostituire protesi tradizionali in futuro? Questo trattamento non si applicherebbe ad am- putazioni della gamba a causa della scarsa circo- lazione causata da diabete o malattie vascolari legate al fumo. Tali pazienti costituiscono circa il 90% della popolazione amputata. Tuttavia, la popolazione più giovane che ha subito incidenti stradali o di guerra o che ha avuto tumori musco- lo-scheletrici,piùprobabiliinpazientipiùgiovani,è candidata per questo trattamento. Se la tecnologia continua ad essere promettente come appare ora, la maggior parte dei pazienti opterà per questa procedura, proprio come ora hanno la possibilità di scegliere tra protesi o impianti dentali fissi, che sonodigranlungapreferibiliperilpaziente.Cisarà un cambiamento, ma questo richiederà un certo tempo. Per l’introduzione di impianti dentali ci sono voluti circa 17 anni; allo stesso modo, questo cambiamentopotrebberichiederealtridiecioventi anni. Tuttavia, ricevere l’approvazione della FDA e avere il sistema in uso da parte dei militari potreb- be sicuramente accelerare lo sviluppo. Nel com- plesso, questo trattamento offre molte alternative ai trattamenti convenzionali. Ci sono purtroppo molti conservatori in campo medico e odontoia- tricoquandositrattadiapportareinnovazioni,ma penso che abbiamo bisogno di rimanere con una mente aperta a nuove idee folli. Questa ricerca mo- stra quello che potrebbe essere possibile in futuro. Potremmo essere in grado di ripristinare la funzio- ne sensoriale di un arto non esistente, creando una buona sensazione artificiale. Essa mostra anche che il dentale e altre professioni mediche dovreb- bero collaborare più strettamente insieme. Come si può vedere, ci sono molte sinergie che potrebbero essere tratte dai settori della ricerca dentale e, nel nostro caso, ortopedico. L’idea della traduzione di conoscenza era anche l’idea originale di EAO, che è ormai diventato un incontro puramente dentale. Questo è un peccato perché abbiamo bisogno di collaboraredipiù,maforsecisarannopresentazio- ni più interdisciplinari negli incontri futuri. Claudia Duschek, DTI Dobbiamo rimanere aperti a nuove idee folli Il concetto di osteointegrazione è stato applicato agli impianti dentali per diversi decenni. Come un chirurgo ortopedico e un ingegnere, il dottor Rickard Brånemark (in foto) ha proseguito l’opera di suo padre adattando il concetto al trattamento di amputati. In un’intervista con Dental Tribune online, Brånemark spiega i vantaggi e le possibilità future di protesi osteointegrate in casi di amputazione e perché incontri come il congresso EAO possono e devono contribuire a sinergie tra i settori medico e odontoiatrico.

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