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Dental Tribune Italian Edition No. 1, 2017

10 Dental Tribune Italian Edition - Gennaio 2017 Medicina Interdisciplinare < < pagina 9 Via via poi si sono scoperte o meglio definite le azioni ipotalamiche di altre molecole segnale, questa volta provenienti dall’apparato digerente, come la ghrelina, la colecistochini- na, il glp-1 e altre, che nel loro com- plesso prendono il nome di entero- chine. Adipochine (dai grassi), enterochine (dal digerente) e miochine (dal tes- suto muscolare) sono dunque mole- cole segnale regolatorie dell’attività ipotalamica. La conoscenza di come questi segnali possano essere guida- ti nella direzione voluta da alimenti, integratori e modifiche nello stile di vita ha rappresentato un importan- te ambito di studio e ricerca, che ha valenza in ogni ambito medico di operatività. Una carenza di lep- tina riduce l’ossificazione, produce infiammazione dei tessuti, espone maggiormente a patologie infettive, aumenta la massa grassa a discapito di quella muscolare: come può qual- cuno negare la sua importanza in campo odontoiatrico? Resistina e resistenza insulinica Ancora più importante in campo odontoiatrico pare essere la resisti- na, per il suo effetto sulla resistenza insulinica e per il circolo vizioso che instaura con la visfatina, un’adipo- china proinfiammatoria. La prima descrizione della resistina si deve a Mitchell Lazar e ai ricer- catori del Diabetes Center dell’Uni- versità della Pennsylvania (Nature, 2000). L’azione rilevata da Lazar (da cui il nome della molecola) è quella di rendere più difficile il la- voro dell’insulina, che è poi quello di distribuire a fegato e muscoli gli zuccheri, gli aminoacidi e i grassi presenti nel sangue. In presenza di resistina, insomma (come sugge- risce il nome), cresce la cosiddetta "resistenza insulinica". Lazar som- ministra anticorpi anti-resistina a topi obesi e migliora la loro sensi- bilità all’insulina. Somministra re- sistina a topi sani e vede peggiorare la loro resistenza insulinica: in pra- tica questi topi dovevano secernere una maggiore quantità di insulina per ottenere lo stesso risultato che avrebbero ottenuto prima del trat- tamento con una minore dose. Questo lavoro, insieme a molti al- tri, contribuisce a rendere sempre più stretto il legame tra obesità e diabete di tipo 2, tanto da spingere qualcuno a considerarli un’unica entità patologica (diabesità). Ma La- zar prosegue nel suo lavoro e via via che le sue ricerche producono dati, si convince anche dello stretto col- legamento tra resistina e fenomeni infiammatori (Science, 2004). Nel tessuto adiposo infiammato di topi (e uomini) obesi rileva infatti non solo cellule adipose secernenti resi- stina, ma anche macrofagi (globuli bianchi presenti nei tessuti infiam- mati) in grado di secernerne quan- tità ancora maggiori. E, nel 2009, Johansson e colleghi dimostrano la capacità di ipersecrezione di resisti- na anche da parte dei neutrofili (glo- buli bianchi tipicamente antibatte- rici) in corso di infezione. L’intuizione di Lazar, che sostiene dunque che la resistina sia prodot- ta dalle cellule di tutti i tessuti in- fiammati e non solo dai tessuti adi- posi, trova rapidamente conferma in diversi altri studi che correlano la presenza di resistina rispettiva- mente alla formazione della placca aterosclerotica, all’insufficienza cardiaca, alla sindrome lipodistro- fica nell’HIV, alle leucemie mieloidi acute. Se si analizza ancora più a fondo il significato della resistina, si scopre anche che questa molecola rappre- senta una modalità semplice e im- mediata da parte dell’organismo per spostare le dinamiche metabo- liche verso l’accumulo. Il complice nascosto è l’insulina. Di solito però la resistenza insulinica nasce da un eccesso di assunzione di zucche- ri. Con la resistina invece il corpo si prende la libertà di generare re- sistenza insulinica anche in forte carenza di zuccheri. Ovvero, se le condizioni infiammatorie (resistina alta = alta infiammazione) mi dico- no che è prudente accumulare, io accumulo anche quel poco che mi arriva in situazioni di carestia. For- se, nella preistoria, era più facile che si verificasse questo tipo di azione sulla resistenza insulinica rispetto a quanto avviene oggi, dove la moda- lità prevalente è quella dipendente direttamente dall’eccesso di zuc- cheri alimentari. Visfatina e resistina: circolo vizioso Vi è un’altra adipochina dalle pro- prietà particolarmente interessanti, dalla quale l’uomo sano dovrebbe cercare di stare alla larga, e si chia- ma visfatina. La visfatina viene secreta dal tessuto adiposo in due condizioni specifiche: in ipossia (carenza di ossigeno) e durante un picco glicemico (cioè dopo che ab- biamo assunto una sostanza zuc- cherina di rapida assimilazione: caffè zuccherato, bevanda gassata dolcificata, brioche, cioccolatino). In pratica il corpo produce visfatina in situazioni di emergenza biochimi- ca: manca ossigeno o si è scatenata una tempesta zuccherina nel san- gue. Perché lo fa? Lo scopo è quello di generare uno stato infiamma- torio, ovvero di allertare il sistema immunitario verso l’azione, così da essere preparati se – a fronte di quelle emergenze – dovesse verifi- carsi una ferita, un’infezione, un’i- perattivazione del simpatico o altra noxa. L’altro nome con cui è scienti- ficamente nota la visfatina è infatti B-cell Enhancing Factor, ovvero fat- tore di stimolazione delle cellule B (ovvero dei linfociti B, cardine della risposta immunitaria). Fin qui tutto logico: ho poco ossi- geno (pensiamo anche a un cardio- patico, a un asmatico, a una perso- na con una patologia polmonare, a un anemico grave) o mi ingozzo di pasticcini e bignè: ci sta che il mio organismo si infiammi. Ma che cosa succede a un organismo che si in- fiamma? L’abbiamo appena visto: produce resistina, innalza la sua resistenza insulinica e genera in- grassamento. Anche in assenza di picchi glicemici o di alimentazio- ne troppo ricca di carboidrati. E fa partire un circolo vizioso (tra noi iperalimentati, non tra gli uomini preistorici) che genera infiamma- zione, poi iperglicemia e ingrassa- mento, poi ancora infiammazione, e così via. Se immaginiamo una situazione di parodontite, avremo dunque produzione di resistina da parte dei macrofagi e degli adipociti infiammati, che genererà resistenza insulinica e picchi glicemici. I picchi glicemici faranno secernere alle cel- lule adipose visfatina, che sosterrà così l’infiammazione del parodonto in un inestricabile circolo vizioso. Ecco qui, dunque, un legame stret- tissimo tra infiammazione loca- lizzata (per esempio in una paro- dontite, in un ascesso, in una carie in stato avanzato) e induzione di resistenza insulinica o diabete, che a loro volta nutrono l’infiammazio- ne rendendo sempre più difficile al dentista l’operatività chirurgica. Non è un caso che siano proprio i pazienti diabetici ad avere il mag- gior numero di insuccessi impianti- stici a livello odontoiatrico. Controllare l’infiammazione con il cibo L’infiammazione da cibo, o food sen- sitivity (un tempo definita “intolle- ranza o ipersensibilità alimentare”), è dunque un segnale forte, in grado di indurre patologia. Oggi si può dire con grande certezza scientifica che l’infiammazione dei tessuti e dell’organismo induce segnali inter- ni che favoriscono un rallentamento metabolico, ovvero un potenziale in- grassamento. Gestire quindi un’in- telligente rotazione settimanale su alcuni cibi più “a rischio” può indur- re disinfiammazione, dimagrimento e ridurre i sintomi di diverse patolo- gie su base allergica o autoimmune. L’approccio di segnale a questo tipo di patologie passa attraverso una si- stematica riduzione dell’infiamma- zione cronica da cibo, impostata con rotazioni alimentari che consentano di non superare mai quel livello “so- glia” corrispondente alla situazione infiammatoria patologica. L’infiam- mazione da cibo dice all’ipotalamo, attraverso le medesime citochine di tutti gli altri tipi di infiammazione (e in particolare attraverso l’adipochi- na chiamata resistina), che il ritmo vitale dev’essere rallentato, accumu- lando più grasso e rallentando l’atti- vità tiroidea. La resistenza insulinica indotta genera poi secrezione da parte degli adipociti di visfatina, un potente proinfiammatorio, gene- rando un altro nefasto circolo vizio- so. Per questo motivo la medicina di segnale vede nell’infiammazione cronica un nemico della salute che deve essere combattuto attraver- so forti modifiche allo stile di vita. Nessun operatore in campo odonto- iatrico può permettersi di non avere un’infarinatura di questi concetti chiave, e questo è uno dei motivi per cui sempre più studi dentistici si stanno dotando di supporto nu- trizionale con figure specifiche o stanno formando il personale inter- no a una maggiore comprensione di queste problematiche. Scontiamo purtroppo un’arretratezza plurien- nale su questo tipo di competenze a causa dell’indirizzo smaccatamente farmacologico che la medicina in genere ha imboccato, ahimè, in que- sti ultimi decenni, a scapito di una gestione più unitaria del paziente. Infiammazione come fattore di danno osseo Il livello infiammatorio generale dell’organismo, che parte da una parodontite o da un’alimentazione molto “occidentalizzata” può inoltre ridurre la densità ossea rendendo più complesse le operazioni chirur- giche dentali. Il danno si basa sull’azione combi- nata di due fattori: • la liberazione di proteasi e di al- tri enzimi in grado di indebolire la matrice ossea, almeno nella sua parte organica (costituita in buona parte da collagene); • il reclutamento in loco di cellu- le fagocitiche, in special modo osteoclasti. Bisogna ricordare che l’infiamma- zione (che tanti danni può causare al nostro organismo) è pur sempre una reazione di difesa, guidata dal nostro sistema immunitario e dal- le sue molecole segnale. Un tessuto infiammato riceve un apporto mag- giore di sangue e di nutrimento (per facilitare la guarigione) e aumenta in modo massiccio gli scambi tra sangue e tessuti attraverso una contrazione degli epiteli vasali (le cellule che rivestono i nostri vasi), che possono così lasciare passare le cellule deputate alla rimozione dei residui dell’infezione o del trauma. Tutte queste reazioni, una volta sca- tenate, possono andare a colpire an- che il tessuto osseo. > > pagina 11

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