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Dental Tribune Italian Edition No. 3, 2017

Dental Tribune Italian Edition - Marzo 2017 Teknoscienza 7 Patogeno responsabile della parodontite potrebbe attivare l’artrite reumatoide Baltimora, USA – Alcuni ricercatori della Johns Hopkins University hanno trovato nuove prove scientifi che di un possibile legame fra la paro- dontite cronica e l’artrite reumatoide. Secondo gli studiosi queste nuove scoperte potrebbero avere importanti implicazioni per la prevenzio- ne e il trattamento di una malattia, come l’artrite reumatoide, che colpisce circa 1,5 milioni di adulti soltanto negli Stati Uniti, può causare disabilità, morte prematura e abbassa di sicuro la qualità della vita. Sebbene l’artrite reumatoide sia una malattia autoimmune, gli scienziati da lungo tempo sospettano che le infezioni batteriche, in particolare le infezioni parodontali, possano giocare un ruolo nel suo sviluppo. Nel presente studio, i ricercatori hanno scoperto che l’infezio- ne da Aggregatibacter actinomycetemcomitans, associata alla parodontite grave, sembra indurre un processo di ipercitrullinazione di proteine at- traverso la secrezione della leucotossina A, che si ritiene attivi il sistema immunitario e inneschi a cascata eventi che portano all’artrite reumatoide. Il dott. Felipe Andrade, ricercatore senior che ha guidato lo studio e professore associato di Medi- cina presso la Johns Hopkins University School of Medicine, ha spiegato che la citrullinazione avviene naturalmente in tutti gli individui, come modo per regolare la funzione delle pro- teine. Tuttavia, nelle persone affette da artrite reumatoide, tale processo diventa iperattivo, con un conseguente anomalo accumulo di proteine citrullinate. Si aziona così una produzione di an- ticorpi contro queste proteine, creando in questo modo un’infi ammazione che attacca il tessuto del soggetto. Il gruppo di ricerca ha sviluppato un test del sangue usando il batterio e la tossina in grado di individuare gli anticorpi che agisco- no contro A. actinomycetemcomitans. Sono stati presi in esame 196 campioni di sangue prove- nienti da un ampio studio di pazienti con artrite reumatoide, si è scoperto che quasi la metà dei pazienti (92) riportava evidenze di infezione dal batterio. Questi dati sono stati paragonati a quelli di pazienti con parodontite, che riportavano cir- ca il 60% di positività, percentuale molto diversa invece nel gruppo di controllo dei sani, dove solo l’11% è stato trovato positivo al batterio A. acti- nomycetemcomitans. Inoltre, l’esposizione ad A. actinomycetemcomitans è stato un fattore deter- minante per la produzione di anticorpi contro le proteine citrullinate nei pazienti con predisposi- zione genetica all’artrite reumatoide. I ricercatori hanno precisato che ulteriori stu- di sono necessari per comprendere appieno il meccanismo alla base del legame tra entrambe le malattie. Nel corso di questo studio, oltre il 50% dei partecipanti alla ricerca affetti da artri- te reumatoide è risultato negativo al batterio A. actinomycetemcomitans, il che potrebbe indi- care che altri batteri presenti nell’intestino, nei polmoni o altrove potrebbero servirsi di un mec- canismo analogo a quello che induce l’ipercitrul- linazione. Inoltre, poiché lo studio ha esaminato Le esatte cause dell’artrite reumatoide restano sco- nosciute. Tuttavia, si ritiene che essa sia il risultato di un’anomala risposta immunitaria. Una nuova ri- cerca ha dimostrato che i batteri della parodontite potrebbero svolgere un ruolo in questo meccani- smo (Foto: Karen Amundson/Shutterstock). solo pazienti con accertata artrite reumatoide in un singolo momento temporale, è necessario un approccio longitudinale, che possa coprire l’arco di alcuni decenni, al fi ne di verifi care il ruolo po- tenziale dei batteri nell’insorgenza e nell’evolu- zione della malattia. Lo studio, intitolato “Aggregatibacter acti- nomycetemcomitans-induced hypercitrullina- tion links periodontal infection to autoimmu- nity in rheumatoid arthritis”, è stato pubblicato nel numero 14 di dicembre della rivista Science Translational Medicine. Dental Tribune International La clorexidina può creare antibioticoresistenza: che fare? Secondo un recente lavoro apparso su Antimicrobical Agents and Chemoterapy, rivista dell’American Society for Microbiology, l’uso imponente della clorexidina indurrebbe antibioticoresistenza. In particolare sarebbe la Klebsiella pneumoniae a divenire resistente alla colistina (colimicina), antibiotico usato per la multiresi- stenza. Secondo questo studio alcuni ceppi di Klebsiella esposti alla clorexidina muoiono, altri sopravvivono a concentrazioni elevate del disinfettante e altri an- cora sviluppano resistenza alla colistina. «Poiché la clorexidina è largamente impiegata in ambito ospedaliero – spiega Mark Sutton del National Infections Service (Public Health, England, Salisbury, GB) – la resistenza può avere ricadute importanti nella prevenzione delle infezio- ni durante i ricoveri e nel corso d’interventi chirurgici di routine e di emergenza». Il problema è ancora più ampio se pensiamo che l’uso della clorexidina è larga- mente diffuso anche in ambito ambulatoriale e odontoiatrico, in particolare. Si potrebbe forse ripensare la sua gestione in termini quantitativi visto che i pazien- ti sono sempre alla ricerca di un collutorio che elimini la placca e poco avvezzi all’uso di dispositivi come il fi lo e lo scovolino? Pronti, quindi, a qualunque sciac- quo facile e apparentemente innocuo? Sicuramente la strada più facile è quella più seguita da chi non vuole impiegare del tempo nell’igiene orale domiciliare. L’uso della clorexidina va da pochi giorni, nel caso di chirurgia orale, fi no a quello più prolungato come nel caso dell’ortodonzia. L’uso domiciliare è diffuso al pari di quello ospedaliero e ambulatoriale in genere. Ma come rinunciare a uno stru- mento cosi diffuso nella pratica quotidiana, la cui provata effi cacia è dimostrata da numerosi lavori scientifi ci. E come si può peraltro ovviare a questa temibile resistenza? Sono numerose le branche specialistiche della medicina in cui la clorexidina viene utilizzata, non ultimo anche in ambito veterinario. Un utilizzo assai più diffuso, quindi, di quel- lo di cui parla lo studio in questione. Tuttavia non è importante solo il “quanto” ma il “come” viene utilizzata la clorexidina. L’appello è rivolto agli operatori sanitari ai fi ni della ricerca in ambito odontoia- trico, dove la clorexidina è usata di routine. Sicuramente esistono già ricerche in merito visto che ha effetti secondari come la colorazione brunastra dei denti e della lingua sul lungo termine. Ci auguriamo che la ricerca spazi nell’ambito della terapia senza esclusione alcu- na, come ad esempio, nell’uso degli oli essenziali e dei fi toterapici che pur avendo sempre un’azione di tipo chimico, potrebbero avere minori effetti secondari e soprattutto non inter- ferire con gli antibio- tici come la colistina, considerato il farmaco in prima linea contro l’antibioticoresistenza. Del resto la Klebsiella pneumoniae non è un batterio tanto raro e la colimicina non è un antibiotico così datato. 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