2 gestione del laboratorio Lab Tribune Italian Edition - Novembre 2019 Lo spazio del lavoro Arch. Massimo Tiberio < pagina 1 Ogni area deve essere dimen- sionata e illuminata in base al tipo di lavorazione e alle caratte- ristiche antropometriche del o dei soggetti che vi lavorano. Proprio per quest’ultimo motivo l’area non sarà mai uguale, quello che invece rimane costante è la sud- divisione in tre superfici di im- portanza. La prima è quella dove avviene la vera e propria lavora- zione e può essere di pochi centi- metri (5x5), la bocca del paziente, o fino a 30/40cm (per le superfici piane delle lavorazioni extra ora- li). Attorno a questa vi è un’altra area che varia da 40/90 cm ed è lo spazio per la strumentistica e/o i materiali più usati (ad esempio gli strumenti come il trapano, l’aspiratore… del riunito) durante la lavorazione nella prima zona. Segue una terza area compresa tra i 90/120 cm per strumenti e materiali che si utilizzano saltua- riamente (come ad esempio il car- rello degli strumenti). La zona di lavoro è quel volu- me spaziale all’interno del quale si svolgono tutte le specifiche ti- pologie di lavorazione per ogni singola operazione; a volte può coincide con l’area di lavoro, ma come abbiamo visto sopra, spes- so congloba diverse aree anche in posizioni diverse o distanti. Come per la precedente, l’area di lavoro dovrà essere progettata, dimen- sionata e illuminata secondo le specifiche di chi vi lavora, ma in più dovranno essere garantiti er- gonomicamente gli spostamenti e le eventuale interazioni ambien- tali e con altre persone (sia che possano collaborare per la stessa lavorazione, sia che facciano altre lavorazioni in contemporanea) assicurandosi che ognuno possa operare in confort e sicurezza. La terza è l’ambiente di lavoro, questo coincide con tutto lo spazio del vostro studio, perché il vostro lavoro non è solo il ”lavorare sul paziente” e non inizia né finisce di fronte al riunito. Esso, invece, inizia da quando si entra nello stu- dio; ogni azione che fate all’interno dello studio è parte integrante del vostro lavoro perché tutto, anche le attività compendiarie a ciò che av- viene attorno al riunito, sono strut- tura sostanziale del vostro lavorare (ad esempio andare a parlare con la segretaria per i dati da compila- re nelle cartelle pazienti, spostarsi all’interno dello studio per fare diverse lavorazioni, le riunioni ge- stionali e/o con i colleghi...). L’ambiente di lavoro, se da un lato ha regole simili alle due pre- cedenti, dall’altro, l’aspetto prin- cipale, deve garantire la distribu- zione funzionale degli spazi ed è per questo che la sua complessità risiede nel fatto di dover gesti- re ad assicurare che tutti i sotto sistemi lavorativi e funzionali diversi si esplichino al meglio e agiscano in modo sinottico, ga- rantendo, attraverso la composi- zione degli spazi all’interno dello studio, percorsi funzionali e frui- bili chiari, corti e pratici senza so- vrapposizione o ridondanza. Le tre zone, anche se hanno re- gole e parametri propri, non pos- sono essere affrontate separata- mente. Ciò facendo, si definirebbe una proposta spaziale corretta antropometricamente e norma- tivamente, ma scarsamente er- gonomica ed efficace. L’area di lavoro è la più significante poiché è lo spazio dove si passa la mag- gior parte del tempo ed è quello che influisce maggiormente sulle condizioni fisiche (e di ricaduta performative) del medico; essa, inoltre, dipende da parametri semplici e ben normati (dimen- sione, postura) che la rendono più facile da progettare; per questi motivi è sempre l’argomento pri- mario di tutta la trattatistica in merito. Le altre zone dovranno or- ganizzarsi in modo compiuto ar- monizzando da un lato le specifi- che dell’area di lavoro e dall’altro soddisfacendo le proprie caratte- ristiche richieste: questo impone difficoltà superiori che richiedo- no maggior competenze per la loro progettazione e realizzazio- ne. Sia la zona sia l’ambiente di lavoro dipendono dai fattori com- plessi (spesso non normati), da un insieme di parametri fisico-tecni- co-edili-ambientali e non hanno una casistica standard, motivi per cui spesso si evita di affrontarle (teoricamente e praticamente) in maniera significativa. In questo modo, rendendo gli spazi del lavo- ro semplici aree dimensionali, si riduce la complessità del sistema “spazio del lavoro” rendendoli più facili da trattare, ma perdendo la loro reale funzione: quella di age- volare e aiutare l’uomo nel suo lavoro evitando in esso ripercus- sioni significative a livello fisico e la riduzione di performance. Visita a un Laboratorio di Las Vegas. Uno di noi, come noi. < pagina 1 Arriviamo al laboratorio “Tech Art Ceramics Dental Lab” fondato nel 1985, oggi di proprietà del Signor Nathan Barber, nativo di Las Vegas, che prima di acquisirlo nel 2016 dal vecchio pro- prietario, ora in pensione, ha lavorato 17 anni con lui. Possiamo dire quindi vent’anni di esperienza in questo la- boratorio, coltivando la passione per il restauro estetico, le corone, i ponti e gli impianti. Il laboratorio, molto sobrio, è di circa 170 metri quadri e il team è costituito da tre dipendenti full time e due dipendenti part time, incluse due persone della sua famiglia che lavora- no nel laboratorio. Noi la definiremmo un’azienda familiare, un laboratorio come la maggioranza di quelli italiani e scopro, oggi, anche quelli americani. Nathan Barber ha accolto questa visita, per poter illustrare come il suo laboratorio sia passato dal lavoro ana- logico a quello digitale. In particolare a luglio del 2019 ha introdotto l’unità di fresatura a 5 assi inLab MC X5, lo scanner da laboratorio inEos X5 non- ché materiali elaborabili digitalmente come Cercon xt Multilayer, Duceram Kiss Porcelain. La vista al laboratorio non è stata dissimile da altri labora- tori che ho avuto il piacere di visitare in Italia; durante il nostro passaggio i lavoratori non si fermavano, perché «questo mestiere comporta tante ore di lavoro e si è spesso in ritardo, ri- spetto quanto richiesto dai clienti», dice Nathan che continua «ho passato tante notti a dormire qui, quando era assurdo tornare a casa a tarda notte e ritornare pre- sto al mattino per termi- nare il processo di lavora- zione». Non senza qualche difficoltà iniziale, ha preso la decisione di investire nel digitale e i risultati sono sorprendenti, certamen- te nei termini di miglioramento dei tempi di produzione, e consentiranno a tutti di poter avere una vita perso- nale migliore in aggiunta ai benefici per il dentista, il paziente e il proprio business. Ora è soddisfatto di avere l’opportunità di creare corone e ponti a partire dalle impronte digitali inte- grando i metodi della vecchia scuola odontotecnica e l’esperienza con le nuove tecnologie digitali. Vi ho raccontato questa storia perché mi ha fatta sentire in Italia, in uno dei nostri laboratori: nei Paesi dove sono tra le più antiche e diffuse le tecniche odontoiatriche e odonto- tecniche, problemi e soluzioni sono molto comuni. Negli Stati Uniti, forse a differenza dell’immaginario di mol- ti, ci sono sì grandi laboratori indu- striali, ma i piccoli e medi laboratori sopravvivono, servono un numero enorme di dentisti, che in loro trovano qualità e competenza per soddisfare al meglio i pazienti. E loro, come tanti di voi adesso, con coraggio investono nel proprio futuro. Patrizia Gat to