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Dental Tribune Italian Edition No. 7, 2016

9 Dental Tribune Italian Edition - Luglio+Agosto 2016 Odontoiatria & Diritto < < pagina 8 La Corte d’appello, si legge in sen- tenza, era giunta a tale conclusione «sul presupposto (peraltro corretto) secondo cui, all’epoca dell’interven- to dell’imputato sulla parte civile, non era ancora nota, neppure alla stessa paziente, la relativa allergia al nichel». L’imputato aveva presen- tato ricorso per Cassazione chieden- do di essere assolto con la formula «perché il fatto non sussiste» in quanto, a suo modo di vedere, non si era provato il fatto che fosse sta- to lui a installare la protesi al nichel “incriminata”, né che tra tale instal- lazione e la dermatite allergica della paziente vi fosse un nesso causale. La parte civile aveva proposto contro-ricorso, chiedendo di rie- saminare prove e testimonianze acquisite, ritenendo che da esse emergesse una pregressa conoscen- za dell’allergia da parte dell’odon- toiatra e una violazione del dovere di informazione per aver questi ignorato l’allergia stessa «emersa dalle testimonianze». La Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso del medico, rigettando quello della parte civile. Dal riesame delle carte, infatti, è emerso che la Corte d’ap- pello aveva «dapprima raggiunto la conclusione dell’insussistenza di alcuna prova sulla circostanza che le protesi posizionate dall’imputato […] fossero di nichel», per poi sotto- lineare l’irriducibile lacunosità del- la stessa prova del nesso di causalità tra le gravi lesioni denunciate dalla querelante e il posizionamento del- le corone da parte dell’imputato, essendo piuttosto emerso che le pa- tologie accusate potevano piuttosto qualificarsi «come conseguenza di altra patologia». La dermatite era ri- sultata presente infatti, anche dopo la rimozione di ogni contatto con il metallo. La Corte di Cassazione non ha esa- minato, in quanto irrilevante, il punto sollevato dalla parte civile circa il fatto che il “consenso infor- mato” fosse stato – a suo dire – disat- teso. Dalla narrazione emerge che la stessa parte ha tentato di dimostra- re con testimonianze che in effetti l’anamnesi alla base del contenuto del consenso informato non rispon- deva a verità, a causa di una negli- genza del medico. La Cassazione non ha ritenuto di seguire la parte civile su questa strada: il consenso informato, come insegna la stessa Corte (Cass. pen. Sez. IV, 16/01/2008, n. 11335, in Giur. It., 2008, 10, 2283), costituisce un presupposto di licei- tà del trattamento. Ora, se è vero che «l’inidoneità del consenso (in quanto non esauriente, NdA) impedisce di invocare la scri- minante e impone un nuovo giudi- zio sui fatti» (ibid.) ciò non vuol dire che si possa semplicemente ignorare che un consenso informato è stato prestato. Al contrario: un consenso (informato, basato su una anamnesi consapevole e clinicamente corret- ta) è una base ragionevolmente si- cura, come insegna questo caso, per escludere la responsabilità penale per colpa medica. Ivan Tosco, avvocato in Torino Caso clinico di odontoiatria forense Relativo a un piano riabilitativo complesso implantare Riportiamo alcune considerazioni su un case re- port descritto da un odontologo forense con oltre trent’anni di esperienza, tacendo, per ovvi motivi di opportunità, i nomi dei protagonisti – pazien- te, odontoiatra operante, consulente tecnico di parte e di ufficio. Descrizione La paziente B.M. si rivolge, nell’anno 2002, alle cure di un odontoiatra in una città della Lombar- dia, per cui viene proposto e concordato un piano riabilitativo complesso consistente nell’inseri- mento di elementi implantari all’arcata superio- re, specificatamente in posizione 13-14, 23-24 e 18 (Tuber mascellare, denominato anche impianto- pterigoideo), seguito da riabilitazione protesica fissa. Un altro impianto posizionato in sede 28 viene successivamente rimosso perché fallito. La situazione chirurgica definitiva risulta nella RX OPT mostrata nella Fig. 1. Alla paziente viene conseguentemente posiziona- ta una protesi fissa provvisoria in acrilico, sempre all’arcata superiore. Inizia una serie di problema- tiche particolarmente importanti dal punto di vista odontostomatologico e con coinvolgimento di strutture extrastomatognatiche, che porta- no all’interruzione del programma riabilitativo programmato, senza l’esecuzione del manufatto definitivo. Dopo il classico percorso di contrappo- sizione medico-paziente, la controversia giunge di- nanzialTribunaleCivile.Nonvengonoquidescritti ulteriori aspetti del caso, in quanto scopo di questa breve esposizione non è la disamina clinica esteti- co-funzionale odontoiatrica, ma evidenziare il par- ticolare iter procedurale medico-legale verificatosi. Nella perizia del Consulente di Parte del 2003 (CTP iniziale, diverso dallo scrivente) si legge infatti: «All’esame ortopantomografico si nota: n. 3 pianti di destra di cui quelli in zona 13 e 14 scarsamente osteointegrati e presentanti una preoccupante invasione del cavo sinusale di destra (peraltro con note evidenti di opacità). A sinistra la presenza di n. 2 impianti endossei scarsamente osteointegrati e abbondantemente coinvolgenti la cavità sinusale di sinistra che presenta opacità diffusa». Obiettività Nell’elaborato del CTU nominato in sede di ATP del 2004 si legge: «Risulta ben evidente area radiotra- sparente marcata di circa 2 cm sulla sommità degli impianti in sede 2.3 e 2.4. Tali impianti appaiono collocati oltre i limiti ossei del tavolato alveolare superiore presentando la loro sommità beante ri- spettivamentenellacavitànasaleenelsenomascel- lareper4-5mm.Considerazionianaloghepergliim- pianti in sede 1.4 e 1.3 che appaiono collocati oltre il tavolato osseo superiore di circa un paio di mm per l’impianto 1.4 e di 4-5 mm nel caso 1.3. Quest’ultimo presenta un’immagine di alone radiotrasparente sullasuasommitàbeantenellacavitànasaledestra. Conclusioni «Gli impianti in sede 1.4, 1.3, 2.3, 2.4 appaiono tutti oltrepassare i limiti dei tavolati ossei. Nel caso di impianti che oltrepassino i limiti del pavimento nasale, tale emergenza radiografica non è mai giu- stificata. Preoccupante appare la sintomatologia conseguita agli interventi chirurgici e consisten- te nella patologia sinusitica cronica riferita nella storia della paziente. Tale patologia, obiettivabile anche all’esame TAC riportato, potrebbe trovare una sua giustificazione nella presenza delle som- mità degli impianti dentali all’interno delle cavità nasali e dei seni mascellari. Per questo motivo, si ritiene opportuno estrarre i 4 impianti sopracitati, in quanto appaiono essere la causa di sofferenza a livello delle mucose dei recessi nasali e sinusali». Dall’elaborato del CTU nominato (il medesimo) in sede di CTU del 2006 si legge ancora: «L’aggiunta di materiale osseo o simil-osseo, sovente, va in- contro a processi di riassorbimento nei mesi se- guenti e non appare in radiografia. Tale procedura perciò potrebbe spiegare il riscontro radiografico segnalato nella precedente ATP dell’emergenza impiantare oltre i limiti del tavolato osseo; tale emergenza che non supera mai i 2-3 mm, secondo laletteraturascientificapiùaggiornata,vienecon- siderata sopportabile anche nel pavimento nasa- le. Ciò va detto a correzione di quanto affermato nella discussione della ATP, durante la quale, per mancanza di un dibattito con la controparte, non era stato evidenziato il tipo di intervento eseguito dal dr. xxx e risultava ingiustificata la sporgenza della sommità degli impianti nel pavimento del seno mascellare e del naso. Daunpuntodivistachirurgico,laterapiaproposta dal dr. xxx sembra corretta e, visto il suo curricu- lum vitae, non appaiono configurarsi elementi di imperizia, imprudenza e negligenza. A correzione di quanto proposto nella precedente ATP, va segnalato che non si ritiene utile estrarre i 5 impiantiintrodottidaldr.xxx,vistalalorostabilità e l’assenza di aree infiammatorie ossee. Al contra- rio, un intervento di estrazione di tali impianti po- trebbe danneggiare l’osso residuo alveolare e crea- re problemi maggiori nella riabilitazione protesica. I 5 impianti inseriti dal dr. xxx appaiono stabili e privi di segni di infiammazioni o mobilità anche a distanza di più di 3 anni, configurando criteri di successo implantare». Leggiamo,infine,dallasentenzadelgiudicedel2012: «L’espletata consulenza tecnica d’ufficio, i cui risul- tati – anche alla luce dei chiarimenti scritti fomiti dal CTU in ordine alle apparenti discrasie tra le ri- sultanze dell’accertamento tecnico preventivo ante causam e quelle della relazione peritale depositata in corso di causa – il giudicante condivide e fa pro- pri per l’accuratezza e l’esaustività con le quali sono stati raccolti e per l’inesistenza di lacune di ordine logico-tecnico nel processo di valutazione degli ele- mentiacquisitienelleargomentazioniaddotteaso- stegno del convincimento raggiunto, fondato su un compiuto esame anamnestico e obiettivo e su uno studiodelladocumentazioneprodotta…». Conclusione? Ci sarebbe ovviamente molto da dire e scrivere a riguardo dal punto vista clinico e squisitamente medico-legale. Alla luce di quanto descritto vogliamo sottolineare due aspetti che ri- teniamo fondamentali nell’iter procedurale, oltre- ché incomprensibili. 1. L’evidente e totale inversione di valutazione che il medesimo CTU pone nell’ATP prima e nella CTU poi. Innanzitutto la nomina del medesimo consu- lente, in ATP e CTU, risulta prassi già di per sé in- consueta nell’iter giuridico del settore. L’aspetto macroscopico appare poi la totale inversione di pensiero e di valutazione che il CTU pone nelle dueperizie.Nonduevalutazionidifformi,sibadi bene, o con più o meno varianti, ma due preci- se e decise posizioni totalmente opposte che, a rigor di logica, non sembrano venire partorite dallostessoconsulente.Talecomportamentoha determinato percorsi medico-legali e giuridici distorti,incomprensibilieingiusti. Non si contestano qui le opinioni e le scelte del CTUpoiché,inquanto“occhiale”delgiudice,do- vrebberovalutarenonperliberoarbitriomaper profondoconvincimento,masicritical’inversio- nedipercorsoadottata,sottoogniprofilo,inpri- mis deontologico, con il giudice che sottolinea l’accuratezzael’esaustivitàdelloscrittodelCTU. 2. L’aspetto sinusitico che la paziente ha lamenta- to come conseguenza degli interventi subiti. A riguardo, riteniamo che le possibilità possono essere solamente due: a. la paziente non presentava alcuna proble- matica a riguardo prima degli interventi chirurgici, e quindi i medesimi rafforzano un nesso di causalità praticamente certo; b. presentava già una patologia sinusitica e quindi una controindicazione assoluta alla chirurgia implantare. Sempre in ossequio alla libertà di interpretazione del CTU, ci si domanda quale delle due ipotesi il consulente abbia fatto sua e la costatazione che, in- dipendentemente dalla scelta adottata, la respon- sabilità del terapeuta risulta evidente e provata. In conclusione, restano determinati interrogativi e perplessità, di non poco conto, formali e sostan- ziali. Di certo, indiscutibile è l’enorme dispendio di tempo, denaro e sofferenza (psicofisica) da parte della paziente. MarioTurani ATP = Accertamento Tecnico Preventivo CTP = Consulente Tecnico di Parte La figura tecnica (in questo caso odontoiatra) che tutela gli inte- ressi della parte che rappresenta nell’ambito della controversia. CTU = Consulente Tecnico d’Ufficio La figura tecnica nominata dal giudice, che di fatto lo rappresen- ta nello svolgimento dei lavori peritali, alla quale il giudice pone dei quesiti e chiede risposte precise. Incarico di enorme responsabilità, accettato sotto giuramento di ben adempiere secondo i più alti principi. legenda Fig. 1

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