18 Implant Tribune Italian Edition - Maggio 2016 L’Opinione CONO-IN ACTIVE ESTETICO ACTIVE < < pagina 17 Ormai andare dal dentista a fare un’estrazione, un’otturazione o una devitalizzazione viene visto come una prestazione semplice, senza par- ticolari problematiche, da eseguirsi il prima possibile. Viene meno la va- lorizzazione del trattamento, non si percepisce come una vera e propria prestazione medica, frutto di una diagnosi di una scelta terapeutica e di un coordinamento congiunto di gestione, di protocolli di realizzazio- ne che vanno ben oltre un semplice atto manuale. Tutto troppo spesso, purtroppo, gira intorno al prezzo. Questa semplificazione è il frutto della disinformazione che hanno i pazienti sui percorsi terapeutici che avvengono quotidianamente all’in- terno dello studio odontoiatrico. Noi medici siamo i veri responsabili di questa disinformazione che ha de- professionalizzato il nostro lavoro. Prima di analizzare come far capi- re ai pazienti il valore di una cura odontoiatrica, per la sua salute gene- rale – e non solo per l’estetica del suo sorriso – cerchiamo di capire come mai siamo giunti a questo risultato. Tutto gira intorno a un difetto di co- municazione. Spesso ho pensato che i medici sapessero comunicare in un unico modo, in quanto si masche- rano dietro la loro mente pragmati- ca, portandoli a pensare che siano i pazienti a doversi sforzare di com- prendere e non loro a semplificare la comunicazione. L’abitudine profes- sionale ad essere sintetici nel racco- gliere informazioni e a trasformarle in schemi, per portarle rapidamente a una conclusione (diagnosi), rende molto difficile la valorizzazione del rapporto umano. Nel dialogo con il paziente, nella mente del medico, la cosa più importante sta nello spiega- re il problema che ha evidenziato e velocemente dare ad esso una solu- zione, tramutare tutto in un percor- so terapeutico che immancabilmen- te culmina con un costo. Sapete di tutto ciò cosa rimane im- presso nella testa del paziente? Io ho deciso, tu ti devi fidare di me e paga- re. Questo percorso è alla base della ri- voluzione di comunicazione che ha inserito nella mente del paziente la diffidenza, lo scetticismo e molte volte l’insoddisfazione. È forse finito il tempo in cui il medico era domi- natore del rapporto interpersonale e tutto ha cominciato a vacillare. Quale è stato il risultato di tutto ciò? Semplicemente è venuta a mancare quella fiducia professionale di sud- ditanza verso i medici che portava i pazienti ad accettare il percorso te- rapeutico offerto, del quale la mag- gior parte delle volte non avevano compreso nulla, con la possibilità di dilazionare il pagamento maga- ri come unica variabile. La scelta di cambiare dentista non era quasi mai una scelta iniziale, ma quasi sempre secondaria a cure particolarmente dolorose o controversie caratteriali con il medico. Oggigiorno la vera dif- ficoltà sta sicuramente nel far accet- tare il piano di cure, non eseguirlo. L’accettazione del piano di cure è un viaggio molto complesso, in quan- to è il connubio tra un percorso di cure che spaventano il paziente e un preventivo che va a pesare sull’eco- nomia famigliare. Entrambi i fatto- ri sono estremamente importanti, ma – a seconda del paziente – uno è quasi sempre dominante sull’al- tro. C’è però sempre un terzo fatto- re che va a influenzare la scelta del paziente: è la percezione piacevole dell’ambiente in cui si trova e l’em- patia che si manifesta con le persone che incontra durante la prima visita. Attenzione: di tutte le persone che incontra, e non solo del medico che lo visita. Il paziente, a seconda della propria personalità, percepisce sen- sazioni diverse e vuole che queste percezioni siano positive al massimo in tutto il suo percorso di “visita”. Per cui le sue percezioni iniziano già al momento della telefonata per pren- dere l’appuntamento, percezioni che andranno a condizionare ancora di più il suo stato d’animo se ha perce- pito freddezza o superficialità o scor- tesia quando ha esposto le proprie esigenze nel comunicare l’orario, il giorno o l’urgenza. Iniziare male un rapporto potrebbe voler dire non recuperare un potenziale cliente, oppure indurlo ad andare a sentire un’altra opinione. Questo esempio ci fa capire come una banalità per noi possa essere fondamentale per il pa- ziente, cosa che alcuni anni fa sareb- be stata irrilevante. Chi se ne frega se la segretaria è scortese, quello che importa è che il medico sia bravo. Comincio a pensare che oggi non sia più così. Sapete cosa pensa il pazien- te di un medico da cui va per una visita? Che è bravo, perché se non lo pensasse non ci andrebbe mai a fare la visita. Il concetto, che “il medico è bravo” a fare il proprio lavoro viene dato per scontato da tutti i pazienti. Solo dopo aver iniziato le cure po- tranno scoprire che non è quello che si aspettavano. A questo punto poniamoci una do- manda: se il paziente considera sem- pre i medici tutti bravi, cosa lo porta scegliere? Semplicemente l’empatia con il medico, il personale e l’am- biente. Tutto gira attorno all’atteggiamento psicologico con cui il paziente si pre- sente nello studio. In passato, la mag- gior parte dei pazienti, si presentava inviata da un amico, conoscente o parente che aveva in un certo qual senso raccomandato le qualità del dottore e i confort dello studio. Que- sto percorso rendeva molto più sem- plice l’accettazione della proposta terapeutica e il preventivo di spesa, in quanto fin dall’inizio esisteva la convinzione psicologica di essere nel posto giusto. Difficilmente esisteva- no i confronti con altri preventivi o, se anche ci fossero state precedenti visite, il paziente non le usava come arma di contrattazione per ridurre il prezzo. Si poteva impostare il lavoro su un asse di pura fiducia reciproca con una vera dominanza del giudizio finale del dottore, che alla fine “de- cideva”. Molto di questo percorso era agevolato dalle esperienze positive precedenti di un amico che aveva fatto da apripista. Il paziente si fi- dava in quanto una sua persona di fiducia era rimasta soddisfatta delle cure ricevute, pertanto il canale co- municativo era già aperto fin dall’i- nizio; al massimo le vere discussioni giravano intorno a degli scenari de- cisamente fantasiosi e variabili del preventivo, sugli eventuali sconti e sulle modalità di pagamento. Lo sconto, la necessità di percepire di aver fatto un affare o di essere tratta- to economicamente da privilegiato fanno parte della genetica del nostro popolo, per cui non mancavano mai le occasioni per creare siparietti mol- to simili ai più classici percorsi di do- manda e offerta del mercanteggiare. Per noi, e neanche ancora in tutti i casi, la salvezza in questo campo si è raggiunta quando abbiamo com- preso che far gestire il lato econo- mico da un dipendente di fiducia, o moglie, o sorella, o parente, era un enorme vantaggio per l’economia dello studio. Passare la palla più scottante a un’altra persona poteva essere un’ottima soluzione per man- tenere integra la figura professiona- le, ridurre le discussioni e aumenta- re le possibili variabili di pagamento senza impegnarsi direttamente con i pazienti. Sicuramente questo è stato un notevole passaggio storico, anche se a quel tempo non si parlava o non si percepiva il vero significato che poteva avere una vendita sotto tutti i punti di vista: non era un contrat- to, non si firmava nessun impegno e quasi mai si impostavano con- dizioni di pagamento prestabilite, > > pagina 19