14 Dental Tribune Italian Edition - Ottobre 2015Teknoscienza - endodonzia Il punto sull’irrigazione in endodonzia (prima parte) Giovanni Schianchi, Umberto Uccioli È ormai di dominio comune l’im- portanza dell’irrigazione con una soluzione antibatterica, al fine sia di ottenere successo nella terapia endodontica e di eliminare ne- cessariamente il tessuto vitale o necrotico, i microrganismi e i loro prodotti di degradazione, dall’in- terno del sistema canalare. Ma che ruolo ha assunto oggi l’ir- rigazione endodontica? Nello scorso decennio l’attenzione della ricerca è stata principalmen- te concentrata sulla sagomatura del canale e le fasi principali della terapia endodontica erano rappre- sentate da: accesso; sagomatura; otturazione. Relegando così la de- tersione a un “mentre”; ossia la de- tersione come conseguenza di una strumentazione all’interno del ca- nale riempito di ipoclorito. Per molti anni abbiamo sentito ripetere: “cleaning and shaping”. Nella fase della strumentazione l’azione principale degli irriganti è di rimuovere i detriti dal canale, ed è proprio la sinergia tra stru- mentazione e irrigazione a causare una significativa diminuzione nel numero di batteri all’interno del canale1 ; come se l’irrigazione fosse un compendio della preparazione, anzi un modo per disinfettare e contemporaneamente lubrificare lo strumento, lasciando a quest’ul- timo il compito di “rimuovere” la parte infetta del canale. Ma se il nostro obiettivo ultimo è la rimozione di tutto il contenuto orga- nico e batterico all’interno del cana- le nel rispetto delle strutture anato- miche, non possiamo non conferire alla detersione un ruolo preminente, anzi, potremmo addirittura definire la sagomatura un mezzo per irrigare e l’otturazione un mezzo per otti- mizzare e mantenere il risultato ot- tenuto con la detersione. Ciò permette di svincolare la de- tersione dalla sagomatura con- ferendole tempi e importanza di una fase della terapia endodonti- ca. Infatti, nella moderna endo- donzia, terminata la preparazione del canale, si cambiano strumenti e inizia la fase della detersione del sistema canalare. I principali fattori ostacolanti la detersione sono: la natura polimi- crobica dei batteri e la loro orga- nizzazione in biofilm, la presenza dello smear layer prodotto dai no- stri strumenti, ma soprattutto la complessa anatomia canalare che ostacola la penetrazione dell’ir- rigante. Infatti numerosi studi hanno evidenziato come la prepa- razione meccanica in associazione alla sola irrigazione classica non garantisca la completa detersione dell’endodonto. Il biofilm è costituito da batteri all’interno di comunità coaggre- gate in una matrice detta “glico- calice”, che funge da barriera mec- canica nei confronti degli agenti antibatterici dove risultano più protetti e da batteri liberi in for- ma planctonica (in sospensione). Durante la sua evoluzione questi ultimi, una volta rilasciati, vanno a infettare lo spazio circostante. La natura polimicrobica in questi casi è determinante: nelle fasi ini- ziali può non esservi una chiara associazione tra specie batteriche, ma ben presto si sviluppa una for- te associazione positiva tra un ri- stretto gruppo di microrganismi della flora orale dovuta al tipo di nutrienti presenti nell’ambiente. Il tipo di ambiente e la disponi- bilità nutrizionale all’interno del canale radicolare regolano la di- namica della flora batterica, il tipo di batteri presenti dipenderà dallo stadio dell’infezione. Dobbiamo inoltre considerare che il collagene, l’idrossiapatite, le proteine sieriche e la dentina possono esercitare un’azione for- temente inibente sull’azione delle svariate sostanze utilizzate nella detersione del sistema canalare: la dentina, ad esempio, ha un effetto tampone sia sulle sostanze acide sia su quelle basiche. Risultato fi- nale di tutte queste azioni è che il biofilm risulta essere mille volte più resistente rispetto ai batteri in forma planctonica. La meccanizzazione della pre- parazione ha comportato alcuni svantaggi per l’irrigazione: la di- minuzione dei tempi di contatto dell’ipoclorito con le pareti cana- lari; la diminuzione del volume dell’irrigante, essendo le prepara- zioni più conservative; lo smear layer, che era assente o insignifi- cante nella preparazione manuale. Lo smear layer è costituito da par- ticelle inorganiche di tessuto cal- cificato e da materiale organico (residui pulpari, batteri) prodotto durante la preparazione mecca- nica o manuale, a causa della fri- zione degli strumenti sulle pareti canalari, fenomeno che ha subito un notevole incremento con l’av- vento dei nuovi dispositivi rotanti montati su motori dedicati (Fig. 1). Oggi molti strumenti presentano una conicità aumentata con lame caratterizzate da ampie superfici di taglio separate da solchi profon- di necessari ad aumentare la fles- sibilità della parte tagliente (Fig. 2). Ma mentre le profonde scanalatu- re sono utili per rimuovere i detri- ti macroscopici, le parti radiali di taglio spingono e impacchettano i detriti microscopici nei tubu- li dentinali, creando uno spesso strato di fango nel loro interno (smear layer)2 (Figg. 3-7). Molti studi (Tucker DM J Fig. 1 - Presenza di smear layer in un’anastomosi tra due radici. Fig. 2 - Angoli, piani radiali di taglio e scanalature degli strumenti NiTi. Fig. 3 - Immagine al SEM della deposizione di detriti nell’interno dei canali laterali. Fig. 4 - La complessità anatomica che tutti ormai abbiamo ben presente: anastomosi e canali laterali (per gentile concessione del dott. A. Malentacca). Fig. 5 Fig. 7 Fig. 8 Fig. 9 Fig. 6 Endod1997,WU MK.Int. Endod J 2001,Tan BT. J ENDOD 2002,Ro- dig T Int Endod J 2002,Weiger R. J Endod 2002) già da tempo han- no messo in evidenza che la sa- gomatura deterge solo dal 20 al 40% dell’endodonto e che la parte meno pulita risulta essere quella apicale (Mayer et al., 2002; Kara- dag et al., 2004). Il limite maggiore nella detersione è rappresentato dall’impossibilità di raggiungere con l’irrigante zone non raggiunte dalla strumentazio- ne; da qui la necessità di svilup- pare un sistema che potenziasse l’azione antibatterica e digestiva dell’irrigante e nel contempo la ca- pacità di penetrare in queste aree critiche dell’endodonto. Cosa si è fatto sino a oggi per migliorare la detersione del sistema endodontico Negli anni Settanta e Ottanta è stata utilizzata acqua ossigenata alternata all’ipoclorito di sodio, mentre più tardi abbiamo potu- to usufruire anche dell’avvento dell’EDTA, usando un normale ago ipodermico montato su una nor- male siringa, ottenendo “un’irri- gazione di tipo statico”. L’effetto che si riusciva a ottenere era un ricambio di irrigante nella camera pulpare e nel terzo coro- nale dei canali, lasciando al movi- mento degli strumenti manuali il trasporto del liquido verso l’apice, sfruttandone nel contempo le pro- prietà lubrificanti (Fig. 8). Nonostante queste difficoltà iniziali si sono comunque ottenuti, seguen- do i giusti protocolli, buoni risultati (Figg. 9, 10). È pur vero che nel tempo molti studi hanno evidenziato che: a) spesso un tipo d’irrigante ini- biva parzialmente l’azione dell’altro; b) spesso non era assicurato un sufficiente flusso di irrigante all’interno del canale che per- mettesse la disinfezione e la penetrazione dell’intero endo- donto3 . c) formazione del Vapour lock; una volta aperto il canale ri- mane intrappolata dell’aria nel terzo apicale, fenomeno che viene incrementato dalla rea- zione stessa dell’ipoclorito con i tessuti pulpari per una conse- guente produzione di gas. Que- sta reazione intrappola aria specialmente nella parte api- cale che diventa difficilmente raggiungibile dagli irriganti4 . d) non abbiamo a oggi un irrigante che svolga contemporaneamen- te la funzione disinfettante e che sia in grado di rimuovere smear layer e biofilm5,6 . >> pagina 15