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Dental Tribune Italian Edition

10 Dental Tribune Italian Edition - Ottobre 2015Teknoscienza - controllo infezioni << pagina 9 La capacità di sopravvivenza del ger- me è legata alla presenza nell’am- biente (e in particolare negli impianti idrici) del biofilm (aggregazione ete- rogenea di microrganismi, sostanze inorganiche, matrice polimerica), alla temperatura dell’acqua (25-45 °C), a parametri di natura chimica quali pH, presenza di cloro, ferro, rame; legionella presenta una spiccata pre- dilezione per gli impianti idrici che presentano rami morti o sezioni sog- gette a stagnazione. La presenza di punti di ristagno dell’acqua, associata a deboli clorazioni o riscaldamenti non eccessivi (fino a 50 °C in caso di acqua distribuita calda), costituisco- no situazioni ideali per l’indovarsi e la moltiplicazione delle cellule di legionella provenienti dalla rete idri- ca di alimentazione. L’acqua potabile che giunge agli impianti idrici nella comunità contiene poche unità di legionella per metro cubo, ma la per- sistenza del serbatoio ambientale e le condizioni che si creano storicamen- te negli impianti rendono molto dif- ficile perseguire l’eliminazione della legionella dagli impianti idrici e delle torridiraffreddamentodegliimpian- ti di condizionamento. La legionellosi è normalmente ac- quisita per via respiratoria mediante inalazione, aspirazione o microaspi- razione di aerosol contenente legio- nella, oppure di particelle derivate per essiccamento. Le goccioline si possono formare sia spruzzando l’ac- qua sia facendo gorgogliare aria in essa, o per impatto su superfici solide (piscine e vasche da idromassaggio, fontane decorative, sistemi di irriga- zione e umidificazione ecc.). La peri- colosità di queste particelle di acqua è inversamente proporzionale alla loro dimensione; le gocce di diametro in- feriore a 5 µ arrivano più facilmente alle basse vie respiratorie. Da un punto di vista epidemiologico, l’entità del problema è monitorato da sistemi di sorveglianza nazionali e internazionali, nati con l’obiettivo di: • monitorare la frequenza di legio- nellosi sia dal punto epidemiolo- gico che clinico, con particolare attenzione ai fattori di rischio per l’acquisizione della malattia; • identificare eventuali variazioni nell’andamento della malattia; • identificare cluster epidemici di legionellosi dovuti a particolari condizioni ambientali alfine dievi- denziare i fattori di rischio e inter- romperelacatenaditrasmissione. I sistemi di sorveglianza hanno con- diviso le definizione di caso (per l’Eu- ropa “Decisione della Commissione Europea” dell’8 agosto 2012); poiché non vi sono sintomi, o segni, o com- binazioni di sintomi specifici della legionellosi, la diagnosi deve essere confermata dalle prove di laboratorio. InItalialanotificadimalattiainfettiva èeffettuatadalmedicochefadiagnosi di caso (D.M. 15/12/90) ed è integrata dal sistema di sorveglianza nazionale (Circolare 400.2/9/5708 del 29/12/93 e sue successive modifiche) con una inchiesta epidemiologica che indaga anche i possibili fattori di rischio. Parallelamente al sistema di sorve- glianza dei casi italiani, nell’ambito dell’European Working Group for Le- gionella Infections (EWGLI) è nato nel 1986 un programma di sorveglianza internazionale delle legionellosi nei viaggiatori; dal 2010 questa rete è detta European Legionnaires’ Disease Surveillance Network (ELDSNet) ed è coordinata dall’ECDC. Tale program- ma, al quale aderisce anche l’Italia, raccoglie informazioni relative ai casi di legionellosi associati ai viaggi che si verificano nei cittadini dei Paesi europei partecipanti al programma. I casi di legionellosi che si sono verifi- cati in viaggiatori stranieri che hanno trascorso un periodo in Italia, sono segnalati all'Istituto Superiore di Sa- nità, riportando informazioni sulle strutture recettive in cui hanno sog- giornato i pazienti e che potrebbero rappresentare le fonti dell'infezione. Osservando i dati europei, ma anche nazionali, si vedono grandi differen- ze dovute alla differente qualità dei sistemi di sorveglianza e alla diversa attenzione da parte della Sanità lo- cale; quindi, il fatto che, dei 5851 casi segnalati all’ECDC (European Center for Disease Control) nel 2013, l’83% dei casi provenga da 6 Paesi, fra cui l’Italia, e che dei 1347 casi segnalati all’ISS il 75% sia stato notificato da 6 regioni, non sta a significare un mag- giore rischio in queste aree, ma solo una sottostima nelle altre (Rota 2014; ECDC 2015). L’incidenza nel 2013 è sta- ta di 11 nuovi casi/milione di abitanti in Europa e di 19/milione di abitanti in Italia; risalendo, quando disponibi- le, alla fonte di esposizione, si osserva (in Italia e in Europa) che il 75-80% dei casi è di origine comunitaria e il 5-8% è di origine nosocomiale; il 5-10% ha pernottato almeno una notte in luo- ghi diversi dall’abitazione abituale (alberghi, campeggi, navi, abitazioni private) e l’1% aveva altri fattori di ri- schio (piscine, cure odontoiatriche); nell’arco di 10 anni in Italia sono sta- ti circa 125 i casi nella cui anamnesi è “presente” – nelle due settimane precedenti all’episodio di legionel- losi – un trattamento odontoiatrico, senza tuttavia che si sia evidenziata in modo scientifico una relazione causale e senza che l’associazione, in presenza di altri fattori di rischio, sia statisticamente significativa; infatti, una esposizione, non documentata da esami microbiologici sul paziente e sull’ambiente, di per sé non costitu- isce una relazione causale. Ad oggi, in ambito odontoiatrico, a fronte di milioni di prestazioni odon- toiatriche effettuate nei Paesi indu- strializzati, non sono mai stati docu- mentati cluster o episodi epidemici che rappresenterebbero la prova della pericolosità delle cure odontoiatri- che. Al momento è stato segnalato in Italia un solo caso di malattia sicura- mente correlato all’esposizione odon- toiatrica (Ricci, 2012) in una paziente, e la letteratura scientifica riporta un caso del 1995 negli USA in un denti- sta, con evidenze circostanziali (Atlas, 1995; Pankhurst, 2007). Non mancano studi osservazionali: i dati di prevalenza degli anticorpi anti-legionella riferiti dalla lettera- tura sono però contrastanti e non sempre a sostegno di una maggiore esposizione rispetto alla popolazione generale o a operatori non sistemati- camente esposti ad aerosol. Da alcuni studi emerge una chiara associazione fra la professione odontoiatrica e la presenza di anticorpi anti-legionella (Fotos, 1985; Reinthaler, 1988); altri au- tori, invece, non ritengono i dentisti una categoria di operatori particolar- mente esposta, in quanto il confron- to con donatori o con altre categorie non esposte non ha evidenziato dif- ferenze statisticamente significative (Oppenheim, 1987; Pankhurst, 2003). Anche l’American Dental Association (ADA) si è schierata con questi ulti- mi, pubblicando i risultati ottenuti dallo screening effettuato su 1294 dentisti (ADAF Monitors the Health of the Dental Profession); i test sono stati effettuati nell’ambito del Health Screening Program 2004 (HSP) al fine divalutareilrischiooccupazionaleda legionella per i dentisti. Dallo studio è emerso che il 7,4% dei dentisti pos- sedeva anticorpi anti-legionella pneu- mophila, e questo dato non si discosta dai risultati ottenuti nel 2003 sia sui dentisti (8,6%) sia su un gruppo di controllo. Analoghe conclusioni sono riportate in un documento pubbli- cato dall’ADA nel 2014. I dati italiani presentano differenze di prevalen- za fra i centri di assistenza coinvolti nell’indagine (Borella, 2008). Da un punto di vista teorico, lo stu- dio odontoiatrico rappresenta un contesto sanitario nel quale potrebbe concretizzarsiunrischiodalegionella per operatori e pazienti: • la presenza dell’impianto idrico in cui il flusso avviene attraverso tubature di materiale plastico, la velocità del flusso, le possibili so- ste dell’impianto e la possibilità di stagnazione dell’acqua a tem- peratura ambiente favoriscono la formazione di biofilm; • la necessaria produzione di aero- sol dal manipolo dell’unità den- tale può costituire l’occasione con cui la forma planctonica o la forma sessile del batterio sono liberati, sotto forma di aerosol, nell’ambiente lavorativo. Si ritiene quindi che la legionellosi possa rientrare fra i rischi lavorativi e assistenziali dello studio odonto- iatrico. Ovviamente il rischio sarà maggiore per soggetti più predisposti all’infezione: anziani, deboli, immu- nodepressi, fumatori, affetti da pato- logie respiratorie. Alle considerazioni precedenti circa gli eventi clinici osservati (e correlati) bisogna aggiungere che il livello di contaminazione è molto diverso nel- le osservazioni effettuate sui riuniti, sia per la struttura dei riuniti stessi, sia per l’intensità dell’attività svolta da ciascuno, sia per le pratiche di bo- nifica messe in atto (Castiglia, 2008; Pasquarella, 2012; Leoni, 2015; Schel, 2006; Arvand, 2013) Un ulteriore elemento che rende cri- tica una valutazione del rischio per operatori e pazienti è che non esiste accordo in letteratura scientifica né tra le diverse linee guida pubblicate a livellointernazionale,sull’opportuni- tà o meno di eseguire campionamen- ti ambientali periodici del sistema di distribuzione dell’acqua nelle strut- ture sanitarie. Anche tra coloro che sostengono la necessità di effettuare un monitoraggio periodico dell’ac- qua, non vi è accordo circa la frequen- za di campionamento e sulle soglie da considerare a rischio (soglie oltre le quali diventa necessario attivare sistemi di bonifica). Uncontoèlapresenzasporadicadile- gionella e il pericolo teorico che si ri- produca, e un altro la colonizzazione vera e propria, correlata al rischio di contrarre la malattia. Le probabilità d’infezione s’impennano a livelli di oltre 10 mila unità formanti colonie per litro d’acqua, mentre, anche se- condo le ultime indicazioni naziona- li, i livelli di contaminazione > 103 co- stituiscono, in assenza di casi clinici, un segnale di attenzione e una situa- zione da tenere sotto monitoraggio, valutando o rivalutando le pratiche di controllo del rischio abitualmente attuate e identificando eventuali mi- sure correttive. Le differenze esistenti tra le unità dentali in commercio fanno sì che le scelte di bonifica, di disinfezione, di trattamento disinfettante in con- tinuo o in discontinuo, di alimenta- zione indipendente dall’impianto idrico dell’edificio, di installazione di valvole a monte dell’impianto (tutte possibilità di prevenzione e controllo della contaminazione) siano vincola- te alle caratteristiche tecniche dell’u- nità dentale stessa e, quindi, alle in- dicazioni del costruttore. Il seguire le indicazioni del produttore per gestire l’impianto in sicurezza ricorre nelle indicazioni internazionali ed è una condizione per garantire l’odontoia- tra circa procedure che non danneg- gino l’unità dentale. È altresì vero che spesso i trattamenti di disinfezione suggeriti mancano di evidenze di efficacia e le valutazioni sono effettuate per un certo disinfet- tante su una certa unità dentale, ma non sempre sono prodotto di spe- rimentazioni generalizzabili; per le norme internazionali il disinfettante è sottoposto a test in vitro, in condi- zioni operative e di concentrazione non sempre riproducibili sul campo; ci sono attualmente testimonianze scientifiche di efficacia di trattamenti su unità dentali, ma le documenta- zioni disponibili non sempre soddi- sfano bisogni di informazione circa concentrazione efficace del principio attivo e tempi di contatto per qualsi- asi unità dentale (Schel, 2006; Walker, 2007; Meiller, 2004). Le evidenze di efficacia di interventi per ridurre l’esposizione dell’ope- ratore e del paziente ad aerosol po- tenzialmente contaminati generati dall’unità dentale, riportate dalle Linee guida CDC del 2003, riguarda- no esclusivamente l’azione di “flus- saggio” dopo il trattamento di ogni paziente (livello di raccomandazione II) e disinfezione, manutenzione, mo- nitoraggio della qualità dell’acqua effettuati secondo le indicazioni del produttore dell’unità dentale (livello di raccomandazione IB e II). Sono inoltre riportate in alcune pub- blicazioni (HTM 01-05, 2013; HPSC, 2009; WHO, 2007) come indicazioni di buona pratica, anche se al momen- to non supportate da studi specifici di efficacia: • alimentazione del riunito con so- luzioni sterili o acqua distillata; • disinfezione continua e disconti- nua dei condotti idrici del riunito; • installazione di filtri a monte dei manipolo e loro manutenzione; • flussaggiodeglistrumentirimasti inattivi; • anamnesi sui pazienti per identi- ficare le situazioni individuali di maggiore rischio. La valutazione del rischio biologico da legionella per il professionista e per il paziente dovrà essere condotta in relazione alle caratteristiche dell’u- nità dentale, ai suoi tempi di utiliz- zo, all’entità della contaminazione a monte dell’impianto di alimentazio- needellepossibilitàdiazionepreven- tiva e di controllo efficaci che posso- no essere implementate. La considerazione del rischio bio- logico di origine ambientale, a pre- scindere dallo specifico rischio per legionella che ne costituisce solo una modesta componente, deve co- munque guidare le riflessioni degli operatori nelle scelte effettuate per lavorare in sicurezza, per lo staff dello studio e per i pazienti assistiti. La bibliografia è disponibile presso la Redazione. Biofilm adeso alle pareti interne dei condotti idrici del riunito dentale e ingrandimento. Coltura di legionella. Legionella al microscopio a fluorescenza.

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