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Dental Tribune Italian Edition

12 Dental Tribune Italian Edition - Aprile 2015Teknoscienza Il microscopio operatorio in odontoiatria Come è stato introdotto, quali i campi d’uso e le specificità positive e negative Mario Lendini, Mauro Rigolone In occasione del 18° Congresso Nazionale dell’AIOM, Accademia Italiana di Odontoiatria Microscopica, che si è svolto a Roma il 30 e 31 gennaio (maggiori informazioni su: www.aiom- micro.it), abbiamo chiesto a Mario Lendini e Mauro Rigolone, rispettivamente Past President e membro, fino al 2015, del Consiglio Direttivo della società scientifica, come è stato introdotto il microscopio operatorio in Odontoiatria, quali sono i suoi campi d’uso e quali le specificità negative e positive. In altre branche della medicina e del- la chirurgia si faceva largo utilizzo di tecniche microchirurgiche, che pre- vedevano l’utilizzo di ingrandimenti del campo operatorio. Infatti, fin dagli anni ’40, l’uso del microscopio opera- torio (MO) è stato introdotto in oto- rinolaringoiatria, sperimentando le potenzialità di questa nuova apparec- chiatura. In seguito, venne adottato a supporto della chirurgia in oftalmolo- gia e in neurochirurgia; a questo pro- posito, si può ricordare il dr. Peter Jan- netta della UCLA, che nel 1967 eseguì al MO la cosiddetta “decompressione microvascolare” per trattare la nevral- gia del nervo trigemino. Oggigiorno molti altri campi medico-chirurgici fanno uso del MO, e tra questi la chi- rurgia vascolare, la cardiochirurgia, la ginecologia, la chirurgia ricostruttiva, la terapia della sterilità. Alcuni odontoiatri statunitensi ed europei iniziarono a utilizzare il MO, sicuri di ottenere risultati clinici mi- gliori di quelli avuti con l’ausilio di occhiali telescopici e lampade fronta- li. I risultati non poterono che dimo- strarsi straordinari, trasformando casi ritenuti ad alto grado di complessità in facili e prevedibili. La prima bran- ca dell’odontoiatria che ha introdot- to l’uso del microscopio operatorio è stata l’endodonzia, specialità che più di altre lavora in condizioni critiche, all’interno delle camere pulpari e nel profondo del sistema canalare radico- lare, affidandosi principalmente alla sensibilità tattile e alla radiologia. Harvey Apotheker, nel 1981 pubblicò sul Journal of Microsurgery un “pre- liminary report” che introdusse l’u- tilizzo del “Surgery Operative Micro- scope”, sperimentando una versione ergonomicamentedifficiledautilizza- re e povera in configurazione. Infatti, si trattava di un prototipo con un solo ingrandimento(8x),constativoapavi- mento mal bilanciato, con binoculare fisso e con focale troppo alta. Gary Carr nel 1992 decretò l’inizio del- lamicroendodonziachirurgicadescri- vendo, sul Journal of California Dental Association, l’utilizzo di un MO che, da unpuntodivistaergonomico,consen- tiva un più agevole utilizzo. Si trattava di un prototipo con stativo a parete o a soffitto che lo rendeva alquanto stabile, dotato di una vasta gamma di ingrandimenti(da3,5a30x)ediocula- ri inclinati, tali da permettere un ope- ratività più confortevole; inoltre, altri optional, quali oculare per il secondo operatore, videocamera e adattatore per apparecchiatura fotografica, con- ferivanoalMOunruolod’elezioneper la terapia endodontica. La moderna clinica è quindi ormai orientata verso una realtà che sicura- mentevedelavisioneingranditacome fulcrodituttal’attivitàodontoiatricae non solamente endodontica. Di fatto, il concetto espresso da Rubinstein nel 1997, secondo cui poter veder meglio è sinonimo di una pratica senz’altro migliore («se si riesce a veder meglio, si riesce a far meglio»), è stato ampia- mente dimostrato dalla quella clinica che quotidianamente si svolge negli studi odontoiatrici. A disposizione dell’odontoiatra, og- gigiorno, esistono numerosi sistemi d’ingrandimento con- cettualmente diversi: dalle semplici lenti addizionali, al ben più performante MO con caratteristiche e po- tenzialità sicuramente maggiori. L’operatore, pertanto, è chiamato ad assolvere un compi- to sempre più sofistica- to, che comporta mag- gior concentrazione e manualità più raffina- ta, traducendo tutto ciò in una precisione maggiore e offrendo al paziente una generale e significativa minor Il microstrumentario è fondamentale per un efficace uso del microscopio operatorio: nell’immagine un normale specchietto intraorale e due versioni “micro” utilizzate in endodonzia chirurgica. invasività dell’intervento. Illuminazione e ingrandimento sono senza dubbio i fattori fondamentali che hanno determinato il successo del MO, affermando il concetto di mi- croinvasività, che riduce significativa- mente il coinvolgimento o il sacrificio di importanti strutture anatomiche e funzionali. Tutto questo si riflette per l’operatore in una maggiore tranquil- lità e sicurezza, da cui deriva innega- bilmente anche una decisa conferma del prestigio professionale percepito dai pazienti. Non bisogna inoltre sot- tovalutarecomeletecnichecherichie- dono l’utilizzo del MO intervengano positivamente sulla “qualità di vita” degli operatori, i quali possono sicura- mente beneficiare del miglioramento della postura assunta durante le fasi operative e della possibilità di aumen- tare la concentrazione su un campo operatorio limitato, ma ben illumina- to, in cui anche i particolari più piccoli sono maggiormente visibili. Sicura- mente la decisione di avvicinarsi al MO e alle tecniche microchirurgiche significa, per il clinico, modificare tutto l’assetto lavorativo proprio e del personale che lo assiste, ma anche l’er- gonomiael’organizzazionearchitetto- nica dello studio. Infatti, accanto agli innumerevoli vantaggi, l’inserimento del MO in uno studio odontoiatrico comporta alcune difficoltà, di cui prima tra tutte è la sistemazione architettonica del MO, anche se la possibilità di scegliere fra varie configurazioni permette di adat- tare quanto meglio possibile la mac- china all’ambiente dello studio. Il MO con stativo a pavimento, monta- tosucarrello,èmoltofaciledainserire in ambiente preesistente, senza modi- fiche architettonico-strutturali, ma è considerevolmente ingombrante per l’interferenza con l’operatività dell’in- tero team, per lo spazio occupato dal carrello e per i tempi di spostamento e/o preparazione necessari. Il MO con stativo fissato a soffitto, in- vece, presenta un alto grado di mano- vrabilità, grazie alla maggiore libertà di movimento, al limitato ingombro, alla facilità di inserimento nel campo operatorio, all’elevata integrazione con le manovre cliniche ordinarie. Purtroppo il costo da sostenere è quel- lo di dover allestire una fase proget- tuale piuttosto accurata prima dell’in- stallazione. Buon compromesso, quando l’archi- tettura della sala operatoria non per- mette una sistemazione a soffitto, è lo stativo fissato a parete, che limita comunque l’ingombro del carrello a stativo e abbina tutti i vantaggi della configurazione a soffitto. Tuttavia, una lieve interferenza con gli operato- rieilvincoloarchitettonicoallaparete di ancoraggio sono svantaggi che de- vono essere considerati. La scelta del tipo di MO vincola quindi l’odontoiatra a un’attenta analisi dello spazio e della mobilità operatoria per potersiavvalerediunaconfigurazione e, quindi, di un’istallazione idonea che noncrei,successivamente,problemidi oscillazione, di frizione e di ingombro, che potrebbero condizionare l’utilizzo ottimale dello strumento. Inoltre, in caso di installazione a soffitto o a pa- rete, è consigliabile affidare la proget- tazione e la collocazione a personale competente. Risolta la scelta del tipo di istallazione, con braccio fisso a soffitto, o a parete, o mobile su stativo, si dovrà definire la configurazione vera e propria del MO, che può essere equipaggiato con diversi optional che incrementino le potenzialità dell’apparecchiatura. Ad esempio, il sistema di bloccaggio de- gli snodi, che consentono di muovere nelle tre dimensioni dello spazio e di fissare la testa del MO (in pratica, il gruppo ottico e di illuminazione, che normalmente è meccanica/manuale), può essere eletttromagnetico, permet- tendo un rapidissimo bloccaggio in un numero di posizioni praticamente infinto. Un optional che dovrebbe in realtà essere considerato uno stan- dard è il binoculare basculante, che permette all’operatore di assumere la posizione più comoda possibile anche in situazioni in cui il MO sia stato ne- cessariamente fortemente inclinato. Il potenziamento dell’apparato d’illu- minazione, per mezzo della fibra otti- ca con lampade allo xeno o illumina- zione led, può essere un altro optional interessanteperchédeterminaunnet- to miglioramento della qualità dell’il- luminazione e, quindi, della capacità visiva nel campo operatorio, specie nelle condizioni più estreme. Il binoculare accessorio permette al secondo operatore o all’assistente di vedere il campo operatorio esatta- mente come lo vede l’operatore prin- cipale, con la possibilità di interagire in tempo reale durante l’intervento, riuscendo ad anticipare e velocizzare l’andamento dell’intervento opera- torio. Valida e, forse, ergonomica- mente più utile soluzione può rive- larsiilcollegamentodellatelecamera eventualmente montata sul MO a uno o più monitor posizionati strate- gicamente, in genere dietro e davanti all’operatore principale. Questo può permettere ai componenti del team di osservare esattamente quello che vede l’operatore principale senza ri- schiare di intralciarlo o di muovere inavvertitamente il MO mentre si utilizza il secondo binoculare. L’o- peratore principale può anche sfrut- tare la visione nei monitor quando lavora a forte ingrandimento, man- tenendo un campo visivo più stabile. La motivazione del paziente può essere un altro vantaggio derivante dalla registrazione di immagini o di video relativi all’intervento attraver- so la fotocamera o la videocamera, che possono essere montate sul MO per mezzo di appositi adattatori. Dopo l’intervento, tutto può essere rivisto con il paziente per spiegare i passaggi salienti della terapia. Molti pazienti gradiscono avere copia del- la registrazione e questo dà loro la possibilità di apprezzare meglio la tecnologia con cui è stato eseguito il loro intervento. >> pagina 13 Il team al lavoro in visione microscopica: l’assistente interna e quella esterna possono seguire le fasi operatorie guardando i monitor, collegati alla telecamera del microscopio, posti rispettivamente dietro le spalle e davanti all’operatore che invece lavora utilizzando direttamente i binoculari del MO.

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