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Cosmetic dentistry_beauty & science

dentistry 3_2014 cosmetic 09 l’intervista _ Antonio Cerutti to, migliorare le proprie condizioni. Individuare in- sieme un piano di trattamento all’interno di tante opzioni è corretto: riprende il concetto di ascoltare il paziente e offrire diversi tipi di soluzioni. Non c’è un’estetica o un piano di trattamento ideali: c’è un’essenza, la sintesi di un percorso di conoscenza del paziente, insieme al quale si è cercata una so- luzione sostenibile sotto tutti i punti di vista. Parliamo del fattore velocità nel piano dei trattamenti, oggi sempre più richiesta dai pazienti. Le moderne tecniche adesive hanno trovato delle soluzioni in questo senso? La variabile indipendente “tempo” è un punto cruciale per l’odontoiatra. C’è una sola cosa che guarisce questa variabile: la passione che mettia- mo in quello che facciamo, per cui il tempo “vola”. Ma, parlando del paziente, nelle tecniche adesive il tempo è fondamentale. Possiamo ottimizza- re la procedura, ma non prescindere dalle regole che sono dettate dalla fisica e l’odonto-chimica, saltando così dei passaggi fondamentali (pena l’insuccesso a breve o futuro). Le tecniche adesi- ve e digitali hanno cambiato modo di intervenire e conservare il più a lungo possibile la struttura dentale, ineguagliabile e inimitabile. La longevità degli elementi dentali dipende tantissimo dalle soluzioni intermedie che possiamo dare prima di arrivare al restauro definitivo. In alcune conferenze lei ha sostenuto l’importanza della conoscenza di materiali, da cui dipende un risultato predicibile. È necessario conoscere i materiali in modo ap- profondito prima di utilizzarli nella propria pratica clinica. Le nuove tecnologie ci portano sicuramen- te dei vantaggi, ma dobbiamo avere dei dati che ne comprovino l’efficacia e l’efficienza. Questo abbraccia qualsiasi specialità medica. La conoscenza dei materiali avviene in due modi. Uno dipende da noi, che dalla ricerca e dalla letteratura trasferiamo nella pratica clinica la no- stra conoscenza. La seconda è provare il nuovo materiale prima di utilizzarlo con il paziente, fa- cendo un training opportuno. I materiali cambiano e si evolvono con- tinuamente. Alcuni colleghi sostengono che questo crea delle problematiche: come pos- siamo parlare di predicibilità e di conoscenza? Grazie per questa domanda. In ambito di ricerca questo ci impone delle limitazioni. Io mi occupo anche di ricerca in vitro e quando dob- biamo fare delle valutazioni a 5 o 10 anni, spesso il materiale studiato non esiste più in commercio. Il dato clinico si perde se scompare il materia- le, ma i principi che regolano la quotidianità ri- mangono un patrimonio che possiamo trasferire. Anche se il materiale cambia, le tecniche con cui lo applichiamo possono essere ancora valide. Inoltre, i materiali non sono molto dissimili uno dall’altro, anche se auspichiamo sempre un’evo- luzione migliorativa degli stessi. Alcuni colleghi dicono che tutto questo potrebbe mettere in discussione l’evidenza scientifica. Lei cosa ci dice a tal proposito? Io dico sempre che in conservativa e in en- dodonzia – di cui mi occupo quotidianamente nel campo della ricerca e dello studio – l’evi- dence based dentistry è un’impresa improba, perché abbiamo variabili indipendenti che ci sfuggono. Ma dico sempre anche che ciò che conta è l’approccio al materiale, che deve es- sere quello del ricercatore, ovvero scettico ma anche curioso. Suggerisco di osservare il nuovo materiale in terza persona, non innamorarsene se non dopo una accurata valutazione dei pregi e dei difetti. A volte è difficile, la passione ci trascina. Dobbiamo poi essere responsabili nei messaggi che rilasciamo, relativi agli orienta- menti scientifici. Stiamo attenti, perché poi i nostri pazienti si aspetteranno un trattamento di successo. Questo risultato passa attraverso la combinazione della conoscenza del nostro paziente, la conoscenza di quello che facciamo e la conoscenza dei materiali. Può darci un messaggio per i giovani? È necessaria tanta passione per quello che si fa, specie oggi che tutto pare più difficile e il concetto di qualità percepita dal paziente diventa un punto critico. Noi oggi siamo valutati con dei parametri che non sono quelli della qualità che sappiamo esprimere nel nostro quotidiano. La qualità percepita è un tema poco trat- tato dai clinici, per lo più materia di studio dei consulenti. Perché allora non cominciare a presentare una casistica della qualità per- cepita dal paziente? Diplomaticamente ci sta. Personalmente, mi piace pensare che dobbiamo affrontare inevita- bilmente questo argomento diventando noi stessi pazienti. Quando entriamo nella parte del pazien- te, anche il lavoro del nostro collega lo percepiamo in modo diverso e ci accorgiamo che le spiegazioni tecniche non sono sempre di facile comprensione. Torniamo ad essere semplici e torniamo a fare i medici, come quello di paese, che ti conosce e ti dedica cinque minuti per capire i tuoi desideri e cosa vuoi dall’operatore. Lo abbiamo troppo spes- so trascurato in questi anni, a favore di un tecni- cismo esasperato. _Patrizia Gatto

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