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Dental Tribune Italian Edition

18 Speciale Hygiene Tribune Italian Edition - Aprile 2014 Fig. 9 - Un laser a diodo viene utilizzato, subito dopo la fase di rileva- mento del tartaro, mediante sonda parodontale, allo scopo di indebolire il legame chimico dei depositi presenti sulla superficie radicolare, facilitando la successiva strumentazio- ne. Si utilizza inoltre la fibra del laser per acquisire informazioni aggiuntive circa l’estensione, la localizzazione, la distribuzione e l’entità dei depositi mineralizzati presenti, cioè la si usa come un ulteriore strumento di rilevamento del tartaro, prima di schiacciare il pedale per attivare la radiazione luminosa. Fig. 13 - Stessa area dell’immagine precedente alla rivalutazione, eseguita a un anno di distanza. Fig. 14 - Immagine clinica a tre anni di distanza dal trattamento parodontale non chirurgico. Il controllo igienico è soddisfacente e il paziente ha raggiunto una situazione di stabilità clinica. Fig. 15 - Rivalutazione del sondaggio, a un anno di distanza dal trattamento iniziale, si riscontrano valori nella norma, in assenza di sanguinamento e in assenza di mobilità. Fig. 16 - La presenza di una mobilità di valore due, a livello premolare, era stato il motivo della visita da parte della paziente, che si era inizialmente rivolta al proprio dentista generico, il quale la aveva refertata per il trattamento parodontale. Fig. 10 - In seguito, si schiaccia il pedale e si utilizza il laser a diodo all’interno della tasca parodontale, sempre tenendo l’inserto in movimento, in direzione apico-coronale e corono-apicale, per circa 10 secondi per ogni sito, in triplicato. È sufficiente attendere circa 10 secondi prima di ripetere l’applicazione del laser secondo necessità, per un massimo di 30 secondi per ogni sito, in duplicato. Fig. 11 - Il laser è stato utilizzato per sfruttare l’effetto battericida e per facilitare la rimozione dei depositi che avviene solamente grazie all’utilizzo di strumenti meccanici (come documen- tato in questa immagine) o attraverso strumenti manuali. Fig. 12 - Già in occasione del secondo appuntamento di igiene professionale, si nota un sensibile miglioramento rispetto alle condizioni iniziali. La sonda controlla i siti già sottoposti a strumentazione. In particolare, a livello del canino si riscontra come sia stata eseguita una strumentazione efficace durante il primo appuntamento. In quel sito verrà dunque semplicemente rimosso eventuale biofilm presente. Fig. 7 - Sempre in occasione del primo appuntamento dei 3 fissati, l’operatore procede al rilevamento dei depositi sotto-gengivali, utilizzando una sonda parodontale, tenuta obliqua, rispetto all’asse verticale del dente. In questo fermo immagine, tratto da un video di repertorio, si osserva la presenza di abbondanti depositi sulla superficie vestibolare del canino mandibolare di destra. Fig. 8 - La sonda viene fatta scorrere più volte, in direzione apico-coronale e corono-apicale, prima di procedere alla strumentazione parodontale non chirurgica. La fase di rilevamento del tartaro sotto-gengivale è cruciale ai fini terapeutici. Fig. 5 - Immagine clinica della stessa area della Fig. 4, al momento della rivalutazione, dopo un anno. Fig. 6 - Il caso è stato trattato con tre appuntamenti di igiene professiona- le, ravvicinati, entro una settimana. Nell’immagine si vede la strumenta- zione ad ultrasuoni che rimuove abbondanti depositi calcificati, presenti sotto-gengiva, in occasione del primo appuntamento. << pagina 17 Questi concetti sono ben noti a tut- ti i clinici, pur tuttavia in qualità di educatori del paziente, è opportuno chiedersi se facciamo abbastanza, cioè se svolgiamo l’attività di mo- tivazione in maniera sufficiente e idonea per ottenere un paziente integralmente compliante. Nella letteratura odontoiatrica, sono par- ticolarmente numerosi gli studi che hanno da sempre affrontato e con- frontato vari tipi di protocolli per determinare quale fosse la condotta clinica migliore. La scuola belga ha introdotto proto- colli più accelerati, che prevedono 2 appuntamenti di 2 ore ciascuno entro 24 ore, con o senza aggiunta di antimicrobici (principalmente clorexidina), per evitare la reinfe- zione dei siti trattati, durante la fase di guarigione, da parte di siti residui non trattati o da batteri provenienti da altre zone del cavo orale4 . >> pagina 19