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Implant Tribune Italian Edition

14 Implant Tribune Italian Edition - Marzo 2013Implantologia Estetica Innesti ossei e implantologia a protesizzazione immediata in zone ad alta valenza estetica Andrea Palermo*, Elio Minetti** < pagina 1 In generale, i cambiamenti di forma seguono un processo prevedibile e il riassorbimento è diverso anche in funzione della sede in cui si manifesta: - nella regione intraforaminale della mandibola, il riassorbi- mento osseo è quasi del tutto vestibolare con un andamento orizzontale; - posteriormente ai forami men- tonieri è prevalentemente verti- cale; - nel mascellare superiore è oriz- zontale sul versante vestibolare di tutta l’arcata1 . Questo indica che, perdendo un ele- mento dentario nell’arcata superiore o nell’arcata inferiore intraforami- nale, avremo con grande facilità un deficit osseovestibolare. Per poter posizionare con predicibilità un im- pianto, il tessuto osseo lo deve avvol- gere in tutta la sua lunghezza ed ave- re sufficiente vascolarizzazione per il mantenimento della struttura ossea di sostegno2 . Nei casi di edentulia, ove il tessuto osseo non sia sufficiente in dimen- sione, si richiede l’applicazione di tecniche chirurgiche che permet- tano di modificare il profilo osseo3 . Numerose sono le tecniche proposte per incrementare il volume osseo: la rigenerazione ossea, l’innesto e lo split crest. Nel 1992, Gottlow4 ha presentato 88 siti nei quali è stata applicata la tecnica di rigenerazione tissutale guidata GTR, ottenendo un incremento di circa 2 mm. Nel 1994, Simion et al.5 hanno dimostrato che è possibile effettuare rigenerazioni verticali di circa 7 mm. In tutti i casi sono comunque stati evidenziati so- stanziali contrazioni del materiale di innesto. Diviene così necessario effettuare interventi con valutazioni in eccesso, per arrivare ad ottenere i volumi richiesti. Anche la tecnica dello split crest ha subito un notevo- le sviluppo negli ultimi anni grazie all’utilizzo degli strumenti piezoe- lettrici, che garantiscono una miglio- re linearità di taglio e uno spessore degli strumenti taglienti inferiore alle frese tradizionali6-8 . Questa tecnica consiste nel creare un’incisione verticale, con o senza tagli di scarico, permettendo, attra- verso l’uso di espansori, di dilatare la sezione ossea e inserire gli impianti. In alcuni casi, tuttavia, se il tessuto osseo residuo è estremamente sotti- le, può non essere possibile applicare le tecniche precedenti e si è obbliga- ti ad effettuare un innesto a blocco. Esso consiste nel prelevare un blocco di osso da un sito donatore e fissarlo a un sito osseo ricevente attraverso viti da osteosintesi9 . Romanos10 ha dimo- strato che è possibile effettuare inne- sti ossei e successivamente, nella fase implantare, avere una risposta tissu- tale similare alla tecnica tradiziona- le, anche con carico immediato degli impianti. Lo scopo di questo studio è di valutare la percentuale di successo degli impianti posizionati in un pro- cesso alveolare aumentato mediante l’utilizzo della tecnica dell’innesto osseo a blocco, e analizzare anche se questo approccio chirurgico sia com- patibile in zone ad elevata valenza estetica. Uno dei punti più importanti per le valutazioni estetiche di un elemento anteriore è la presenza o l’assenza di papilla. La distanza dal picco osseo interprossimale al punto di contatto degli elementi determina la posizio- ne della papilla. Fino a 5 mm è pos- sibile avere presenza di papilla nel 98% dei casi. Quando la distanza au- menta di soltanto 1 mm la possibilità di avere la papilla si riduce al 56%11 . Per posizionare correttamente gli impianti è necessario, quindi, consi- derare quale effetto avrà l’impianto sui tessuti circostanti e, soprattutto, se potrà causare un aumento della distanza tra il punto di contatto e il picco osseo papillare. In particola- re, la posizione della giunzione tra abutment e impianto crea un micro gap che determina una sorta di am- piezza biologica implantare. Questa ampiezza biologica implantare corri- sponde a circa 1,5-2 mm verticali e 1,4 mm orizzontali, e va sempre tenuta presente per poter posizionare gli impianti in modo corretto12 . Un’altra problematica che ci siamo trovati a dover gestire è subordinata al fatto che, effettuando un innesto osseo, si viene a creare un tessuto a diverse densità (Fig. 1). Lekholm e Zarb13 han- no classificato, a seconda del rappor- to qualitativo tra osso corticale e osso midollare, quattro tipi differenti di osso – denominati di tipo 1, 2, 3, 4 – progredendo dal più compatto al più trabecolato. Il posizionamento im- plantare, conseguente a questa tera- pia rigenerativa nel mascellare, crea spesso problematiche di inserzione, poiché il tessuto osseo ricevente ri- sulta più “morbido” dell’innesto di origine mandibolare. Ciò “condizio- na” le frese implantari trascinandole verso le zone a minore densità. Di conseguenza, l’alveolo implantare rischia di venire posizionato in una zona, verso il sito ricevente dell’inne- sto, che potrebbe determinare pro- blematiche estetiche e funzionali. L’utilizzo della strumentazione pie- zoelettrica, grazie alle sue caratteri- stiche intrinseche, non risente delle diverse densità ossee e permette di creare un alveolo chirurgico corret- to. La piezochirurgia, quindi, consen- te di superare i limiti delle frese tra- dizionali, garantendo una precisione elevatissima e consentendo di avere un controllo totale dei tessuti con Fig. 1 - Combinazione delle densità ossee nell’innesto a blocco. Fig. 2 - Valutazione del sito ricevente. Fig. 3 - Prelievo osseo in zona retromolare. Fig. 4 - Area donatrice. una migliore risposta di guarigione e unmiglioreposizionamentodell’im- pianto14 . Obiettivi In relazione a quanto premesso, in presenza di un deficit orizzontale osseo, si possono scegliere varie tec- niche chirurgiche atte a ripristinare i volumi ossei opportuni, con l’obiet- tivo di posizionare correttamente un impianto. Quando il deficit osseo orizzontale è ridotto e la struttura implantare ha stabilità primaria, si puòeffettuareunaGBR(Guided Bone Regeneration) utilizzando un’impal- catura (scaffold) atta a sostenere la neo-osteogenesi e una barriera ne- cessaria per ridurre la competizione cellulare. È altresì possibile effettuare una split crest quando la cresta residua presenta uno spessore di almeno 4 mm in senso apicale e tende a restare costante o ad aumentare il suo spes- sore. Utilizzando lo strumento piezo- elettrico si effettua un’incisione cre- stale e, grazie a espansori specifici, questa discontinuità viene ampliata sino a permettere il posizionamento implantare. Quando lo spessore del tessuto residuo è invece inferiore ai 3 mm, l’indicazione elettiva è quella dell’innesto autologo. Si preleva un blocco di osso da una zona donatri- ce intraorale (area retromolare in- feriore, ramo mandibolare o sinfisi mentoniera) e si innesta in una zona ricevente fissandolo con viti da oste- osintesi, così da connettere intima- mente le due interfacce e impedire micromovimenti. Lo scopo del presente lavoro è quel- lo di applicare la tecnica implantare della protesizzazione immediata non funzionale a un sito osseo che è sta- to ricostruito mediante un innesto a blocco con prelievo mandibolare. La scelta di effettuare questa tecnica è stata determinata dalla necessità di rendere più confortevoli i lunghi tempi di attesa tra l’intervento di innesto osseo e la protesizzazione definitiva e dalla possibilità di condi- zionare i tessuti molli, spesso molto alterati nella loro forma e aspetto a causa dell’intervento di innesto, at- traverso la protesi provvisoria non funzionale. Materiali e metodi Il protocollo operativo prevede l’u- tilizzo di impianti Alpha-Bio Tec (Israele) del tipo SPI, vale a dire im- pianti con una geometria di spira che consente un’ottima stabilità primaria nel rispetto di un fit corret- to. I pazienti non sono stati in alcun modo selezionati; sono stati esclusi solamente coloro che presentavano controindicazioni assolute alla chi- rurgia. La valutazione del successo terapeutico, trattandosi di uno stu- dio ambulatoriale, si è avvalsa esclu- sivamente di rilievi radiologici, dei valori del sondaggio perimplantare e della valutazione clinica, ferma restante la maggiore probanza del- le tecniche invasive e strumentali. D’altra parte è stata suggerita da Zarb e Albrektsson una definizione su base clinica secondo cui: «L’oste- ointegrazione è un processo in cui materiali alloplastici ottengono una fissazione rigida, clinicamente asin- tomatica con l’osso e tale fissazione rigida viene mantenuta anche sotto carico». Gli impianti sono stati inse- riti in accordo ai concetti chirurgici fondamentali, tesi a salvaguardare il trofismo del tessuto osseo e al con- tempo garantire una buona stabilità primaria. > pagina 15 *Libero professionista e titolare di studio in Lecce **Libero professionista in Milano e Tione di Trento WEB ARTICLE WWW.DENTAL-TRIBUNE.COM