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Dental Tribune Italian Edition

8 Dental Tribune Italian Edition - Gennaio 2013News & Professione Al “Forum dei giovani chirurghi orali” Questioni di diritto vs realtà di fatto Uno dei momenti più intensi e parte- cipati del 6° Expo d’autunno è stato il “Forum dei giovani chirurghi orali”, svoltosi venerdì 30 novembre in Sala Alpha. Sala non grande, ma affollata soprattutto di giovani professionisti, ai quali era rivolto il Forum, anche se in realtà sono stati comprimari alcu- ni “grandi vecchi” della materia, che hanno affrontato, con la chiarezza e la credibilità dettate dall’esperienza, alcuni punti controversi di una ma- teria come l’Odontologia forense, di per sé animata da diverse correnti interpretative. Sotto il coordina- mento autorevole e chiarificatore di Marco Lorenzo Scarpelli, “perito” di indiscusso prestigio, il Forum si è incentrato soprattutto su due temi coinvolgenti: il primo, sui limiti di intervento dei chirurghi maxillo- facciali, antica e “vexata questio”, che ritorna ogni tanto, anche se, come è emerso dal dibattito, i paletti di confine vi sarebbero, e anche ben visibili. Solo che gli sconfinamenti sono numerosi e irritanti per chi li subisce. Un punto certo è che se un chirurgo maxillo-facciale va oltre il consentito, vi sarà l’assicurazione a ricordargli, rifiutando il risarcimen- to al danneggiato (e quindi scarican- dolo sul chirurgo), che è meglio non “sconfinare” a rischio di guai. Secondo quesito appassionante: a fronte di una richiesta di risarci- mento di un paziente che ritiene di avere ricevuto un danno ingiusto, fino a che punto risponde il titolare dello studio, e fino a che punto, in- vece, il collega-consulente facente parte dell’équipe? Valendo in diritto penale il principio della responsabi- lità personale, parrebbe una risposta semplice: risponde chi ha operato direttamente, mentre dal punto di vista della responsabilità civile le cose vanno altrimenti (potrebbe es- serci una risposta in solido). Tuttavia il problema rimane di non semplice LE VIRTÙ - mantenere equidistanza e valutare in modo critico e senza preconcetti; - ascoltare le parti e i loro consulenti, nell’ambi- to consulenziale, consentendo un confronto completo ed esaustivo; - non assumere incarichi in ambito valutativo improprio, ovvero segnalando al giudice la ne- cessità di supporto specialistico. I VIZI - sopravvalutare il proprio ruolo tecnico, ritenen- do di essere una sorta di “sostituto del giudice”; - esprimere valutazioni senza adeguata prepara- zione medico-legale e prive di competenza per l’argomento specialistico trattato; - assumere un orientamento valutativo senza tenere adeguatamente in conto il contraddit- torio dialettico tra le parti. soluzione, tanto più se la denuncia per lesioni e/o la richiesta di risarci- mento pecuniario avvengono dopo qualche tempo l’intervento “danno- so”, cui magari è seguita la “manu- tenzione” di qualcun altro, diverso da colui che ha operato materialmente. Caso classico: il titolare di studio che chiama un collega a inserire l’im- pianto, affidando a qualcun altro la manutenzione. All’inizio sembra che tutto vada bene finché, dopo qualche tempo, l’impianto stesso comincia a dare problemi. E, quindi, tutti – ti- tolare, implantologo e magari anche l’igienista “manutentore” – finiscono davanti al giudice. Il suggerimento che pare emergere dal dibattito è che occorre chiarire bene sin dall’inizio i rapporti reciproci per non trovarsi poi sul banco degli imputati o con discrete somme da pagare, anche solo per le spese legali. A complicare il quadro, se mai non basti, è anche la notoria, pacificamente accertata, impreparazione del CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), l’ausiliario cui si appoggia il giudice per emettere la decisione. Sarà anche un bravo me- dico dentista, ma spesso si intende poco e male di diritto, oppure viene scelto dal giudice con criteri che la- sciano perplessi. Di qui la grave incer- tezza di diritto che regna nel settore. m.boc Vizi e virtù del CTU secondo Marco Lorenzo Scarpelli Abbiamo chiesto a Marco Lorenzo Scarpelli, il noto odontologo forense, di riassumere in poche righe “vizi e virtù” del CTU, questo illustre sconosciuto (almeno ai più). Un nuovo Codice deontologico per intercettare il futuro Valerio Brucoli, vice coordinatore della Consulta deontologica Fnomceo; odontoiatra libero professionista, dal 1999 è presidente Cao di Milano, e dal 2006 coordinatore della Commissione di bioetica dell’Ordine di Milano Era il dicembre del 2006 quando fu licenziata l’ultima versione del nostro Codice deontolo- gico. Infuriavano le polemiche sul caso Wel- by, dramma che costrinse a una riflessione sul limite dell’autodeterminazione del pa- ziente. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Così tanta da fare sembrare il mondo di sei anni fa un altro rispetto all’attuale. Sicu- ramente tra i settori che più hanno risentito dei cambiamenti c’è quello sanitario, che ha visto aprirsi ampi dibattiti su principi mai messi in discussione nonché, per diminuzio- ne di risorse, riconsiderare diritti che dal do- poguerra in poi sembravano acclarati. Dal punto di vista dei principi, si pensi solo alla questione dell’autodeterminazione del paziente, si è dato il via a una serie di con- fronti sul rapporto tra medico e paziente, che si è poi estesa a quello tra persona e società e alle relative determinazio- ni di diritti e doveri. Facile travisare: in qualche caso si è arrivati all’eccesso di far diventare punto di ri- ferimento i singoli desideri egoistici, filosofia utile al mercato del profitto, meno allo sviluppo di una socie- tà armonica. Seppur in maniera dif- ferente, però l’idea di re- golare economicamente i rapporti umani ha in- fluenzato le nuove orga- nizzazioni della società, a partire dalla più comples- sa di tutte che è quella sanitaria. L’applicazione dei nuovi modelli, di cui sei anni fa si parlava solo teoricamente, in mol- ti casi è diventata realtà operativa, accelerata dalla limitatezza delle risorse per la dirom- pente crisi economica cominciata nel 2008. Aggiungo: applicazioni avviate senza forse analizzare a fondo tutte le possibili implica- zioni nel rispetto dei principi di umanità, soli- darietà e impegno civile (art. 1 C.D.). Questo ci porta a un’attualità fatta di confronti serrati tra chi vuole affermare il primato dell’econo- mia e chi pensa invece che il primato debba rimanere dell’uomo, soprattutto in contesti – come la cura – dove una profonda relazione interpersonale è indispensabile. In campo sanitario tutto ciò si traduce nello scontro tra il classico modello medico cen- trato sul rapporto umano e i nuovi modelli economici basati sull’erogazione della presta- zione. Uno scontro giocato a suon di leggi, di- verse quelle che ci hanno visto coinvolti negli ultimi tempi e che di fatto hanno imposto la rivisitazione del Codice deontologico. Si pen- si ad esempio al rapporto con le nuove pro- fessioni sanitarie, cui si cerca di demandare sempre più compiti “perché così si risparmia”, lasciando irrisolto il problema se la cura sia semplicemente la somma dei suddetti compi- ti o un qualcosa di più; visto anche l’esponen- ziale aumento dei ricorsi ai tribunali. Da qui una serie di problematiche: bisogna riaffermare la validità dell’atto medico, come chiede chi è convinto che la cura sia un uni- cum da esercitare in libertà di scienza e co- scienza o sostituirlo con l’atto sanitario, come chiede chi gestisce organizzazioni in cui i medici sono semplici operatori dipendenti? In questo caso sono ancora validi i concetti di libera scelta e rapporto di fiducia, oltreché di esercizio in scienza e coscienza? Una legge che impone al medico il rispetto della linea guida ospedaliera, prima che del Codice de- ontologico, è da accettare oppure no? Come inquadrare, in questo contesto, l’obbligatorie- tà dell’assicurazione? Situazioni che sembrano interessare solo il SSN, ma che hanno pesanti ripercussioni – di- rette e indirette – anche nel privato, visto che lì si ricercano risorse “a costo zero” per com- pensare i deficit di bilancio statali: un esem- pio è l’effetto che potrebbe avere l’introdu- zione dei fondi integrativi, anche in termini di surrettizia imposizione di regole. Altro esempio importante è quello della pubblicità, anima di un commercio che una certa imprenditoria vorrebbe libero anche in campo sanitario. Anche qui, di passaggio in passaggio, si pongono diverse problematiche: sarà sufficiente un consenso informato, or- mai usato più come difesa giuridica che non come presupposto del rapporto di fiducia, a contrastare mirabolanti promesse (soprat- tutto in campo estetico) che non giustificano tuttavia mirabolanti aspettative di pazienti che chiedono di essere unici giudici di inter- venti che, seppur eseguiti correttamente, non raggiungono il soggettivo risultato del benes- sere psico-fisico? L’attuale definizione di salute come reggerà all’assalto del gradimento-cliente? Bisogne- rà ipotizzare la costante presenza di un ter- zo giudicante, oltre che del terzo garante e pagante? Pesanti le implicazioni in termini di binomio medico-paziente che, di questo passo, rischia di essere sostituito da quello mediatore-cliente, con il medico trasformato nel vero “terzo”, in un operatore acritico gra- vato peraltro da grandi obblighi, che hanno un senso per un medico, molto meno per uno che lo è solo di nome. Al di là del fatto che sono tanti gli argomen- ti che meriterebbero di essere approfonditi (si pensi all’Ecm, alle società tra professioni- sti, alla medicina legale, all’obbligo di mezzi o di risultati e così via), in conclusione direi che è proprio questa la sfida più importante di questo nuovo Codice: aiutare a definire un contesto per cui i doveri del medico abbiano un significato, perché questo vorrà dire che il nostro paziente avrà vinto. E noi con lui.