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Implant Tribune Italian Edition

6 Implant Tribune Italian Edition - Marzo 2012Clinica & Pratica Riabilitazione implantare a carico immediato in siti dimensionalmente e biologicamente compromessi A. Palermo, E. Minetti Introduzione La chirurgia orale implantare è in continua evoluzione e l’elevato li- vello di predicibilità ha portato una riconsiderazione di alcuni requisiti ritenuti in origine indispensabili per il successo a lungo termine1 . Le linee guida tradizionali impone- vano minimo 2 mesi di attesa suc- cessivamente all’estrazione per il rimodellamento osseo e in seguito, per l’osteointegrazione implantare, erano obbligatori 6 mesi di guari- gione senza carico funzionale2,3 . Questo protocollo di carico ritar- dato si è rivelato un atteggiamento prudente, ma alquanto empirico, non essendo stato, peraltro, mai ve- rificato sperimentalmente4 . Negli ultimi anni, quindi, l’implan- tologia dentale si è evoluta conside- revolmente e i protocolli originali si sono modificati grazie ad alcuni stu- di che includono: la chirurgia a uno stadio5 , il posizionamento implan- tare immediato postestrattivo6 e la provvisorizzazione immediata7,8 . Questi studi hanno verificato come la tecnica del carico immediato con- duca anch’essa a un livello elevato di successo sia clinico che istologico, in assenza del convenzionale perio- do di attesa9,10 . Tra i primi, Lazzara nel 198911 , sug- gerendo l’impiego di impianti postestrattivi, ha risposto alla do- manda di riduzione dei tempi di trattamento, sempre più frequente- mente avanzata da parte dei pazien- ti, e probabilmente alla preserva- zione dei volumi ossei a seguito di un’estrazione. In ogni caso il carico immediato tende a stabilizzare il compartimen- to biologico, consentendo il miglio- re condizionamento dei tessuti duri e molli, fattori determinanti per il successo del trattamento implanto- protesico soprattutto in zone a ele- vata valenza estetica. Questo approccio terapeutico, tut- tavia, può risultare più difficilmen- te percorribile nei siti con compro- missioni dimensionali successive a estrazioni o ad atrofia da non uso, salvo utilizzare la metodica che ver- rà a breve illustrata. La perdita degli elementi dentali comporta un riassorbimento osseo che, a seconda della zona, può essere vestibolare o linguo/palatale. Una classificazione delle ossa mascellari edentule è stata effettuata basan- dosi sullo studio di 300 crani. Sono state notate ridotte differenze della forma e del riassorbimento delle ossa basali, mentre si sono notate forti variazioni nei processi alveo- lari edentuli. In generale i cambia- menti di forma seguono un proces- so prevedibile e il riassorbimento è diverso anche in funzione della sede in cui si manifesta: - nella regione intraforaminale della mandibola, il riassorbi- mento osseo è quasi del tutto vestibolare con un andamento orizzontale; - posteriormente ai forami men- tonieri è prevalentemente verti- cale; - nel mascellare superiore è oriz- zontale sul versante vestibolare di tutta l’arcata12 . Questo indica che perdendo un ele- mento dentario nell’arcata superio- re o nell’arcata inferiore intrafora- minale, avremo con grande facilità un deficit osseo vestibolare. Per po- ter posizionare con predicibilità un impianto, il tessuto osseo lo deve avvolgere in tutta la sua lunghezza e avere sufficiente vascolarizzazione per il mantenimento della struttura ossea di sostegno. Nei casi di edentulia, ove il tessuto osseo non sia sufficiente in dimen- sione, si richiede l’applicazione di tecniche chirurgiche che permet- tano di modificare il profilo osseo13 . Numerose sono le tecniche proposte per incrementare il volume osseo: la rigenerazione ossea, l’innesto e lo split crest. Nel 1992 Gottlow14 ha presentato 88 siti nei quali è stata applicata la tec- nica di rigenerazione tissutale gui- data GTR, ottenendo un incremento di circa 2 mm. Nel 1994 Simion et al.15 hanno dimostrato che è possibi- le effettuare rigenerazioni verticali di circa 7 mm. In tutti i casi sono comunque stati evidenziati sostanziali contrazioni del materiale d’innesto. Diviene così necessario effettuare interventi con valutazioni in eccesso per arrivare a ottenere i volumi richiesti. Anche la tecnica dello split crest ha subìto un notevole sviluppo negli ultimi anni grazie all’utilizzo degli strumenti piezoelettrici, che garan- tiscono una migliore linearità di ta- glio e uno spessore degli strumenti taglienti inferiore alle frese tradi- zionali16-18 . Questa tecnica consiste nel creare un’incisione verticale, con o senza tagli di scarico, permet- tendo, attraverso l’uso di espansori, di dilatare la sezione ossea e inserire gli impianti. In alcuni casi, tuttavia, se il tessuto osseo residuo è estremamente sotti- le può non essere possibile applicare le tecniche precedenti e si è obbliga- ti a effettuare un innesto a blocco. Essoconsistenelprelevareunblocco di osso da un sito donatore e fissarlo a un sito osseo ricevente attraverso viti da osteosintesi19 . Romanos20 ha dimostrato che è possibile effettua- re innesti ossei e successivamente, nella fase implantare, avere una ri- sposta tissutale similare alla tecnica tradizionale, anche con carico im- mediato degli impianti. Gli approcci chirurgici sopra men- zionati hanno l’indubbio vantag- gio di ricreare i volumi ossei pre- esistenti al processo di atrofia, ma Materiali e metodi Il protocollo operativo prevede l’uti- lizzo di impianti ARRP (Alpha-Bio Tec, Israele), vale a dire impianti mo- nofasici con una geometria di spira che consente un’ottima stabilità primaria nel rispetto di un fit corret- to. I pazienti non sono stati in alcun modo selezionati, sono stati esclusi solamente coloro che presentavano controindicazioni assolute alla chi- rurgia. La valutazione del successo terapeutico, trattandosi di uno stu- dio ambulatoriale, si è avvalsa esclu- sivamente di rilievi radiologici, dei valori del sondaggio perimplantare e della valutazione clinica; fermo restante la maggiore probanza delle tecniche invasive e strumentali. D’altra parte è stata suggerita da Zarb e Albrektsson una definizione su base clinica secondo cui: “L’oste- ointegrazione è un processo in cui materiali alloplastici ottengono una fissazione rigida, clinicamente asin- tomatica con l’osso e tale fissazione rigida viene mantenuta anche sotto carico”. Gli impianti sono stati posizionati in zone a basso impatto estetico (Figg. 3, 4) o in siti dove un impianto di di- mensioni ridotte è una scelta obbli- gata da un punto di vista volumetri- co, ma si presta a una buona riuscita estetica, vale a dire incisivi inferiori e incisivi laterali superiori (Figg. 5-8). Gli impianti sono stati inseriti in accordo ai concetti chirurgici fonda- mentali tesi a salvaguardare il trofi- smo del tessuto osseo e al contempo garantire una buona stabilità prima- ria. Subito dopo il posizionamento dell’impianto, o al massimo entro 48 ore, viene effettuato l’adattamento e la funzionalizzazione dei provvisori cercando di escludere le forze late- rali (Fig. 9). Il paziente viene inoltre invitato a un’alimentazione morbida durante il primo mese per poi au- mentare progressivamente i carichi. I restauri definitivi in ceramica (Fig. 10) vengono realizzati, in accordo ai tempi di guarigione canonici, attra- verso un’impronta di protesi fissa tradizionale o utilizzando le apposi- te cappette di trasferimento per im- pianti monofasici (Fig. 11). Il primo passaggio in molti di questi interventi è stato l’apertura di un lembo a tutto spessore in considera- zione delle ridotte dimensioni cre- stali che imponevano una piena vi- sibilità dell’architettura ossea al fine di posizionare correttamente l’im- pianto (Fig. 12). Dove possibile è stato effettuato un lembo di accesso con incisioni paramarginali distanti cir- ca 2 mm dagli elementi dentari vici- ni, nel tentativo di rispettare la papil- la. In alcuni impianti post estrattivi, invece, dove l’integrità alveolare era garantita, non si è effettuato alcun lembo di accesso (Fig. 13). pagina 7> anche il grosso limite di dover sot- toporre il paziente a interventi che presentano un grande costo bio- logico, economico e nel caso degli innesti a blocco è anche necessario un rientro chirurgico. Inoltre quasi mai è possibile caricare l’impianto immediatamente, subito dopo una rigenerazione. Un’alternativa terapeutica, fina- lizzata alla riduzione dell’impat- to biologico, dei tempi e dei costi dell’intervento, può essere quella di utilizzare degli impianti monofa- sici di diametro ridotto, da caricare immediatamente, in associazione ai fattori di crescita autologhi (CGF) (Figg. 1, 2). Questo approccio tende, inoltre, ad aumentare l’accettazione del paziente rispetto al piano di tratta- mento. Lo scopo di questo lavoro è di valu- tare la percentuale di successo degli impianti narrow posizionati in un processo alveolare atrofico in assen- za di manovre additive e immedia- tamente protesizzati. Fig. 1 - Blocco di fibrina e fattori di crescita (Concentrated Growth Factors). Fig. 2 - Blocco di CGF.