Please activate JavaScript!
Please install Adobe Flash Player, click here for download

Dental Tribune Italian Edition

4 Dental Tribune Italian Edition - Febbraio 2012L‘Intervista Prima donna in Italia al timone di una società scientifica chirurgica Carmen Mortellaro, neo-presidente SIdCO “Guardare lontano per vedere oltre” pagina 1<< Il processo è in atto ma nella realtà italiana la presenza di donne ai verti- ci della carriera nel settore chirurgico resta intorno al 3%. Il gap non è solo italiano. Il progresso sociale dovrebbe essere misurato in primis sulla presenza femminile in diverse attività umane come elemento indicatore di civiltà e valore aggiunto; in realtà perma- ne il deficit culturale che tende a estromettere la donna dai luoghi del “potere e delle decisioni” nonostante il crescente fenomeno della femmini- lizzazione della Sanità in Italia. Nella medicina in generale, nel 2001 su circa 9.700 primari, solo 1.284 era- no donne. Oggi lo spazio culturale delle donne in tale ambito tende ad allargarsi, ma il problema sussiste e ha radici lontane. L’immagine atavi- ca della donna impotente, sottoposta alla morale cattolica, al costume, alle filosofie maschiliste e positiviste, ha subìto un’evoluzione solo nel XVIII e XIX secolo, grazie alle lotte femmini- ste per il diritto allo studio e alla ricer- ca. Durante la Rivoluzione Francese, per riuscire a laurearsi, Sophie Ger- main fu costretta a ricorrere a uno pseudonimo maschile e più tardi, nel 1812, James Miranda Stuart Barry si travestì da uomo per laurearsi in Chimica all’Università di Edimbur- go. Elisabeth Anderson fu cacciata dall’ospedale di Londra perché con- siderata superiore ai suoi colleghi di sesso maschile e si rifugiò a Parigi dove si laureò in Fisica nel 1870. Molte donne videro i loro studi plagiati da uomini e il loro impegno e meriti non ottennero il dovuto riconoscimento. Ne è esempio Nettie Maria Stevens che nel 1905 rivoluzionò le conoscen- ze sulla determinazione ereditaria del sesso con i cromosomi, ma il pre- mio Nobel per la scoperta andò, nel 1933, al collegaT.H. Morgan. Ancora Rosalind Franklin (1920-1958) eroi- na mancata della scoperta del DNA. Fornì le prove sperimentali della sua struttura, ma i suoi studi vennero utilizzati dai colleghi Wilkins, Watson e Crick che vinsero il premio Nobel nel 1962. O l’astronoma Jocelyn Bell- Burnell (1943) che scoprì le pulsar, una scoperta premiata con il Nobel assegnato tuttavia a Antony Hewish, relatore della sua tesi. Altro esempio è Lise Meitner (1878-1968): le sue sco- perte sulla fissione nucleare valsero il premio Nobel al suo collaboratore Otto Hahn e per finire Chien-Shiung Wu (1912-1997): dimostrò che il "prin- cipio di parità" non è sempre valido in campo subatomico ma il meri- to andò ai colleghi Tsung Dao Lee e Chen Ning Yang. Solo Marie Curie, che allestì unità mobili per la radiolo- gia chirurgica per il trattamento dei soldati della Prima Guerra Mondiale, ricevette, prima donna della storia, il premio Nobel per la Fisica nel 1903 e l’altro per la Chimica, nel 1911. Non posso esimermi dal menziona- re Rita Levi Montalcini (1909) prima donna ammessa alla Pontificia Ac- cademia delle Scienze e la seconda a essere nominata senatrice a vita, in- signita nel 1986 del Nobel per la Me- dicina. Rifiutò di sposarsi e avere figli per dedicarsi completamente alla scienza. Ama affermare “L’umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi”. Margherita Hack (1922) membro delle più prestigiose società fisiche e astro- nomiche, è stata direttore del Diparti- mento di Astronomia dell’Università di Trieste ed è membro dell’Accade- mia Nazionale dei Lincei. La scienza ha aperto le porte anche a donne più giovani, come Elisabet- ta Strickland (1948), prima donna a essere nominata Vice Presidente dell’Istituto nazionale di Alta Mate- matica o l’astrofisica italiana Marta Burguay (1976) o Chiara Daraio, che ha creato “l’ecografia del futuro” ed è stata inserita nella ‘Brilliant 10’ la classifica pubblicata dalla rivista “Popular Science” che seleziona i die- ci migliori scienziati under 40 che lavorano negli Usa. Ma la rivincita femminile più dolce è stata quella dell’americana Elisabeth Blachburn. Nel 2004 aveva firmato un editoriale accusatorio sul New England Journal of Medicine in cui raccontava di esse- re stata licenziata dal comitato sulla bioetica e l’uso delle staminali perchè le sue idee contrastavano con la linea conservatrice dell’allora presidente Bush. Vincitrice del Nobel nel 2009 insieme alla ex allieva Carol Greider con una serie di ricerche al centro delle quali c’è il mondo delle stami- nali, dimostrò di vedere più lontano dei politici. Le due donne hanno stu- diato per prime i telomeri e i mecca- nismi dell’invecchiamento: hanno infatti compreso come i cromosomi vengano copiati durante la divisione cellulare e protetti dalla degradazio- ne di queste repliche. Grazie per averci tracciato questa panoramica così interessante. Questa è la storia, ma oggi molti pregiudizi sono caduti e dovrebbe vigere per tutte la meritocrazia. Certo, la strada è quella della meri- tocrazia, atta a promuovere donne e uomini purché capaci, ma è la stessa condizione di genere che spesso svan- taggia la donna. Roger Abravanel in “Donne Leader” scrive che in Italia, dove i valori del merito non esisto- no neanche per i maschi, essendo uno dei paesi meno meritocratici del mondo, è statisticamente dimostrato che la donna, quando cerca di realiz- zarsi professionalmente, è ancora di- scriminata da pressioni psicologiche che la colpevolizzano come moglie e madre, e dall’aumento di insicurezze che la fanno desistere. Per non parla- re del calpestamento di diritti e meri- ti di giovani donne superati da con- suetudini clientelari o abusi di potere che sbarrano loro la strada. O dell’autoreferenzialità e dello stra- potere delle lobbies maschili che ostacolano la carriera di professioni- ste meritevoli, delegittimandole. Ne- gli ambiti lavorativi, tradizionalmen- te appannaggio degli uomini (mi riferisco a quelli meno evoluti e più conservatori) ancor oggi, a mio avvi- so, la figura femminile è considerata una minaccia, una sorta di Pandora, soprattutto se intraprendente e, per- tanto, non “di buon comando”. Am- biti minori, dove vige la mediocrità e rinunciando, per principio, al con- fronto e a una sana competitività. Nelle sue affermazioni sembra affiorare uno spirito femminista, mi sbaglio? Se si riferisce agli anni ’60 e ’70 in Ita- lia, si sbaglia. Sono contraria a quel movimento, condivisibile solo nelle intenzioni, che non ha saputo cogliere l’opportunità di affermarsi cultural- mente e non è riuscito a vegliare sulle pericolose derive cui l’hanno condot- to la spregiudicatezza dei costumi e la rinuncia alla famiglia, intesa come simbolo di rinnovamento sociale e liberazione della donna, generando confusione e figure femminili dram- maticamente prive di modelli da seguire. Diverso il femminismo delle ammirevoli donne che hanno traccia- to il percorso liberatorio nella scienza, spianandoci la strada, senza rinun- ciare al proprio ruolo di figlia, moglie e madre. Io non voglio certo paragonarmi alle figure eroiche delle donne scienziato, menti eccelse che si sono così egregia- mente distinte, ma ho sentito il biso- gno di citarle perché a loro va la mia gratitudine e quella di tutte le donne che, fortemente motivate, con impe- gno e sacrificio, hanno raggiunto il proprio obbiettivo. Voglio ricordare la prof.ssa Montesani, Professore Or- dinario di Chirurgia Generale all’Uni- versità Sapienza di Roma e la prof. ssa Pelizzo, Professore Ordinario di Chirurgia Generale all’Università di Padova, per non parlare della nostra Antonella Polimeni, Direttore del Di- partimento di Scienze Odontostoma- tologiche dell’Università Sapienza e Presidente del Collegio dei Docenti di Odontoiatria. Oggi Lei è una donna affermata. Giudica la sua un’esperienza fortunata? Nonparlereidifortuna.Inquestocaso, citando Seneca, direi che la fortuna non esiste, esiste il talento che incon- tra l’occasione. Il mio percorso profes- sionale, malgrado non facile e privo di ostacoli, si è rivelato positivo. Godo della stima dei colleghi, con molti ho rapporti di profonda amicizia e colla- borazione scientifica. La mia nomina a presidente SIdCO mi sembra una dimostrazione di fiducia nelle mie ca- pacità. Forse ho saputo trasmettere la mia professionalità, senso del dovere e di servizio nei confronti della comuni- tà scientifica e la “passione civile” che metto nel mio operato e mi dà l’ener- gia necessaria per esaudire le più pro- fonde aspirazioni e raggiungere nuovi traguardi. La valutazione indiretta mi arriva dagli studenti, molti dei quali restano in contatto con me dopo la laurea e dai pazienti, principalmente sindromici, malformati e malati rari, con famiglie straordinarie alle spalle. Il rapporto con tali persone mi con- ferma di essere riuscita ad assolvere nei loro confronti, il duplice compito, professionale e umano. Se ci sono state, quali sono state le sue difficoltà personali? Non ho rilevato quel costante, diverso, approccio, anche psicologico, con il mondo maschile. Tradizionalmente, gli uomini quando sono più di uno, mostrano tendenza a fare squadra ed emarginare la donna, per escluderla e sminuirla, come in uno status di di- pendenza psicologica e di tolleranza. Ma quando si stabilisce un rapporto individuale la relazione è salva e per molti aspetti ribaltata. Inoltre dipen- de dall’età. I giovani sono più aperti, hanno una mentalità più “comunita- ria”. Nella mia esperienza, durante gli studi anche post laurea, i colleghi co- etanei non mi hanno mai dimostrato sciocche velleità maschiliste e, fin dal primo approccio, è iniziata una corsa alla solidarietà. Ho fatto il mio per- corso formativo a Medicina avendo tre figli piccoli da accudire. A stento riuscivo ad assicurare la presenza alle lezioni e per la preparazione de- gli esami i compagni si spostavano a casa mia, in un clima di assoluta go- liardia. I problemi, quando nascono, sorgono più avanti, nella fase della competizione lavorativa. E il mondo accademico non si salva, rivelandosi ancora, in qualche caso altamente e sorprendentemente ghettizzante nei confronti della donna, specialmente quando subentra il timore di perdere il proprio, presunto prestigio. Allora occorre lavorare con il singolo, ab- battere le resistenze, avviare un con- fronto franco e diretto. Un discorso delicato, ma bisogna avere il coraggio di affermare la verità. Vuole adesso parlarci dei suoi programmi per il futuro della SIdCO? Il Programma SIdCO, assai ricco e ambizioso, richiede un ampio spa- zio, pertanto mi auguro di poterne presto parlare in un’altra occasione. Posso anticiparne i punti principali: la ricerca e l’internazionalizzazione per potenziarne l’efficacia, il coin- volgimento delle competenze più eccellenti creando nuovi percorsi di mobilità e accordi bilaterali, il finan- ziamento di nuovi progetti facendo perno su infrastrutture, tecnologia e venture capital, la formazione e la tutela dei giovani, vera risorsa per il futuro. Le società scientifiche oggi debbono uscire dall’isolamento cul- turaleecongiunturaleimpegnandosi a mettere in pratica i buoni propositi di collaborazione, per creare reali si- nergie e percorsi virtuosi, superando i personalismi e guardando insieme lontano, per vedere oltre. I membri del Consiglio e delle Commissioni di lavoro, al mio fianco, sono tutte figure di eccezionale valenza profes- sionale e rappresentatività: insieme facciamo un’ottima squadra. Il la- voro è già iniziato. Dopo il corso di aggiornamento Sicoi-SIdCo tenutosi a Napoli il 28 gennaio, il prossimo appuntamento è a Taormina, 12-14 luglio 2012 per il Simposio Nazionale di Videochirurgia. Quindi per usare una frase cara alla Chiesa “Cuore a Dio e mani al lavoro”. Dental