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Implant Tribune Italian Edition

10 Italian EditionAnno V n. 3 - Settembre 2011 Pratica & Clinica La stabilità implantare è ancora un dato solamente soggettivo? Mauro Labanca, MD, DDS, Professore a contratto in Chirurgia Speciale Odontostomatologica - Università Vita Salute - Ospedale San Raffaele Milano Direttore: Prof. Enrico Gherlone La stabilità implantare pri- maria è un argomento dibattuto e controverso e rappresenta un elemento prognostico impor- tante nella valutazione del suc- cesso delle riabilitazioni orali mediante l’implantologia oste- ointegrata. Fino a poco tempo fa la sua verifica consisteva in valutazio- ni esclusivamente soggettive, basate sull’esperienza dell’opera- tore o su verifiche con tecniche empiriche, poco riproducibili e poco oggettivabili. La pratica clinica quotidia- na impone al chirurgo orale di confrontarsi da una parte con le pressanti esigenze dei pazienti, e dall’altra di conoscere e pro- porre procedure che riducano tempi e costi alla poltrona. L’implantologia a carico immediato è una tecnica che bene si armonizza con tali neces- sità e nella quale l’ottenimento di un’adeguata stabilità implan- tare gioca un ruolo cruciale. Per implantologia a carico immediato si intende una pro- cedura chirurgico/protesica che prevede l’inserimento implan- tare e la sua protesizzazione in tempi che vanno dall’immedia- to post-operatorio fino alle 48 ore successive(1) . La letteratura tende a conside- rare due diverse forme di carico immediato: la funzionalizza- zione immediata, che prevede la confezione di una protesi a supporto implantare, immedia- tamente sottoposta a carico, e la protesizzazione immediata, che prevede, invece, l’inseri- mento di una protesi a supporto implantare priva però di contat- ti occlusali in centrica, laterali- tà e protrusiva(2) . La scelta di lasciar guarire indisturbato un impianto all’in- terno della compagine ossea è stata negli anni dettata più dalla prudenza clinica di chi ha formulato i primi protocolli di carico che da reali prove scien- tifiche(3,4) . Lo studio dei processi di oste- ointegrazione e lo sviluppo di superfici microstrutturate ha già drasticamente ridotto i tem- pi di guarigione nei protocolli di carico convenzionali(5,6) , ed è dunque lecito domandarsi e valutare se in determinate situa- zioni sia possibile anticipare ulteriormenteilcaricoprotesico. L’Evidence Based Dentist- ry (EBD) ad oggi considera predicibili protocolli di carico immediato solo per indicazioni ristrette. Una recente Consensus ConferenceITI(2) giudicaampia- mente documentata ed affidabi- le soltanto la riabilitazione delle edentulie totali mandibolari, mediante protocolli di carico immediato e indica come, per il successo di tali riabilitazioni, sia necessario ottenere un’adegua- ta stabilità primaria, utilizzare superfici micro-ruvide e posizio- nare almeno 4 impianti solida- rizzandoli tra di loro. Lo stesso lavoro di revisione valuta le riabilitazioni di eden- tulie totali mascellari mediante protocolli di carico immediato, riesce ad individuare solo sei lavori scientifici sull’argomen- to e conclude che tale metodica non è da considerare adeguata- mente attendibile(7) . Per quanto riguarda le mono- edentulie e le edentulie parzia- li mascellari e mandibolari, la Consensus Conference(2) conclu- de che il corpo delle evidenze è ad oggi ancora carente e che i pochi studi ritenuti validi sotto il profilo scientifico hanno alte percentuali di successo ma fol- low-up limitati(8) . I parametri che maggiormen- te sembrano influenzare l’esito della procedura sono, da un lato, l’ottenimento in sede chirurgica di un’adeguata stabilità prima- ria implantare, che è in funzione soprattutto della qualità e della quantità ossea, dall’altra l’as- senza di micro-movimenti(9) nel periodo di guarigione ossea(10) . Szmukler-Moncler et al. già nel 1998 osservavano che micro- movimenti dell’impianto endo- osseo fino a 90 micron venivano assorbiti dal sistema, mentre micromovimenti superiori ai 150 micron inducevano l’incap- sulamento dell’impianto da par- te di tessuto fibroso(11) . Queste osservazioni fanno meglio comprendere come sia più facile ottenere buoni risulta- ti laddove si inseriscano diversi impianti in osso di qualità 1 e 2 secondo la classificazione di Lekhol e Zarb(12,13) li si solidariz- zi tra di loro (per esempio nel- le riabilitazioni delle edentulie mandibolari), o quando si inse- risce un impianto con adeguato torque e non lo si sottoponga ad immediato carico protesico. Abbiamo già detto come il concetto di adeguata stabilità primaria non sia ad oggi stan- dardizzabile e di come spes- so l’unità di misura di questo valore sia l’esperienza acquisita dell’implantologo. Esistono attualmente sul mercato procedure che permet- tono di valutare l’intimità del contatto osso-impianto (BIC) e la sua conseguente stabilità senza procedere alla carotatura della fixture e all’osservazione dell’interfaccia osso-impianto al microscopio, cosa ovviamente non percorribile quando si è in ambito clinico e non sperimen- tale. Una di queste metodiche è l’analisi di frequenza di riso- nanza (RFA) messa a punto dal prof. Neil Meredith quindici anni orsono. Meredith si rese infatti conto che era possibile valutare l’osteointegrazione in maniera non invasiva solleci- tando il sistema osso impianto tramite vibrazioni(14) . Lo strumento capace di rile- vare la frequenza di risonanza è l’Osstell, e si avvale di un abutment metallico che viene avvitato all’impianto. L’abut- ment ha un piccolo magnete alla sua sommità, che viene stimolato da impulsi elettro- magnetici mediante un dispo- sitivo elettronico. La metodica registra in KHz la frequenza di risonanza del sistema e la resti- tuisce in termini numerici, cioè in valori di ISQ:Implant Stability Quotient. L’ISQ quantifica ciò che il den- tista qualche decennio fa sag- giava picchiettando la fixture con il manico dello specchietto e ricavandone o un suono acuto, nel caso di intimo contatto osso- impianto, oppure uno sordo e grave nel caso opposto. Numerosi studi(15,16) indicano che valori di ISQ compresi tra 55 e 85, con una media di 70, sono compatibili con il concetto di adeguata stabilità. Va ovviamente considerato che il valore registrato tiene conto della risonanza dell’inte- ra fixture, ma non suggerisce al clinico se tale risonanza sia rela- tiva ai soli due millimetri apica- li o coronali della stessa, mentre riesce a rilevare differenze di stabilità in senso vestibolo-lin- guale o mesio-distale. È di frequente riscontro evi- denziare come l’ISQ possa essere più elevato in senso corono-api- cale o vestibolo-palatale, e spes- so meno elevato in direzione palato-vestibolare a causa di una ridotta compattezza ossea o di una deficienza ossea qualitativa o quantitativa conseguente alla procedura estrattiva pregressa. L’Osstell di per sé non può suggerire in termini assoluti a quale valore di ISQ si possa predicibilmente associare l’in- dicazione a procedere con il carico immediato, ma rimane sicuramente un ottimo presidio per valutare nell’immediato un valore oggettivo, e per verifica- re nel tempo la sua eventuale variazione, sia in termini di cre- scita che di riduzione. Inoltre, se durante il perio- do di osteointegrazione fossero riscontrate delle diminuzioni del valore di ISQ, questo dato potrebbe suggerire all’opera- tore di adottare delle strate- gie differenti senza attendere inutilmente e troppo a lungo l’eventuale comparsa di un pro- blema clinico. A questo dato, da qualche tem- po il chirurgo implantologo può abbinare un altro valore ogget- tivo e documentale di estrema utilità. Alcuni motori chirurgici di ultima generazione sono infat- ti in grado di registrare il tor- que di inserimento implantare istante per istante e di fornire al chirurgo grafici che riportano il torque di inserimento nell’unità di tempo. Questi grafici, memo- rizzati su una apposita chia- ve USB, saranno ovviamente richiamabili ed utilizzabili sia per poter adeguatamente spie- gare al paziente (o al collega che lo ha inviato) quanto avvenuto durante la fase chirurgica, che per una migliore gestione medi- co-legale in caso di insuccesso. I valori saranno più alti lad- dove la fixture si impegna maggiormente nella compa- gine ossea, ma si ridurranno nel momento in cui l’impianto incontrerà minus o configura- zioni midollari particolarmen- te lasse. La curva che si ottiene descrive con precisione la resi- stenza e l’ingaggio della fixture, dal momento in cui questa con- tatta la corticale esterna fino ad inserimento avvenuto, e il modo in cui questa progressione si verifica; registra altresì come e se raggiunge il valore finale di Torque impostato dall’operatore sul motore chirurgico. Appare interessante valutare come le informazioni derivan- ti da entrambe le metodiche (rilevazione valori ISQ e torque di inserimento) possano essere utilizzate in combinazione per meglio oggettivare la stabilità implantare. Valori di ISQ elevati associa- ti a curve di torque costanti, senza flessioni durante la fase di inserzione dell’impianto, potrebbero ad esempio incorag- giare il chirurgo meno esperto a cimentarsi in protocolli più complessi come quello del cari- co immediato con una maggiore sicurezza non derivata solo dalla propria esperienza clinica. La nostra esperienza clinica, nell’ambito dei diversi casi trat- tati con procedura di implan- tologia post-estrattiva a carico immediato, ha comportato sem- pre un’ottima soddisfazione sia da parte dell’operatore che del paziente, con delle guarigioni di ottima valenza estetica ed un buon mantenimento del picco osseo, con conseguente ottimale profilo muco-gengivale . Riportiamo di seguito un caso clinico di inserimento implan- tare post-estrattivo a protesizza- zione immediata in zona 22 per la realizzazione del quale sono stati registrati sia valori di ISQ che quelli di torque di inseri- mento. Caso clinico La paziente V.S. di 72 anni, di sesso femminile non fumatrice, con anamnesi medica negati- va ed anamnesi odontoiatrica personale remota positiva per malattia parodontale cronica generalizzata dell’adulto tratta- ta, si presenta alla nostra osser- vazione riferendo estrusione e inestetismo dell’elemento 22 già precedentemente protesizza- to e richiedendo la sostituzione immediatadellostessoelemento con un impianto, per non ledere gli elementi dentali contigui. L’esame ortopantomografico delle arcate dentarie portato in visione dalla paziente e la radio- grafia endorale (Fig. 1) in zona 22 rilevano: ridotto supporto osseo dell’elemento in analisi, rapporto corona radice sfavore- vole, corona protesica sovracon- tornata. L’esame obiettivo locale rile- va mobilità dell’elemento 22, presenza di manufatto protesi- co incongruo, sondaggio di 3/4 mm pericoronale (Fig. 2). IT pagina 11 Fig. 1 - RX endorale preoperatoria.